100. Barazzutti 9

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Il giorno in cui Claudio aveva lasciato Tiziano pioveva.

Un temporale estivo, uno di quei temporali che arrivano inaspettatamente e finiscono rapidamente, per lasciare subito posto al sole.

Un temporale. Esattamente come la sera in cui si erano messi insieme. Claudio aveva pensato che il tempo avesse uno strano senso dell'ironia.

«Nun ja'a faccio più» aveva detto Claudio, seduto sul letto della camera di Tiziano, appena arrivato. Non si erano nemmeno baciati. Tiziano si era avvicinato a Claudio, appena era entrato nella stanza, ma lui l'aveva respinto.

Sarebbero dovuti partire per una breve vacanza a Parigi l'indomani. Tiziano non vedeva l'ora di andare a Disneyland. Di tutti i posti di Parigi pensava solo a Disneyland.

Il paradosso Tiziano: l'orgoglio e la dedizione di un adulto responsabile.

L'entusiasmo di un bambino per le cose più sciocche.

«Nun posso annà avanti così. Ci vedranno insieme, sapendo che stiamo insieme, ma tu continuerai a raccontare la palla che faccio parte del tuo staff.»

Era un discorso che Claudio aveva fatto un migliaio di volte. Ma quel giorno la prospettiva di dover passare delle intere giornate insieme a Tiziano lo aveva fatto arrivare a un punto di non sopportazione. Gli veniva da vomitare, all'idea di partire con lui il giorno successivo. All'idea dell'ennesima recita protratta. E aveva capito che non poteva più stare con lui. Non così.

Tiziano aveva urlato. Poi aveva pianto. Poi si era arrabbiato di nuovo. Poi aveva accusato Claudio di non capire: le pressioni, cosa sarebbe successo se i tifosi avessero saputo...

«Magari non mi menano di nuovo...» aveva detto Tiziano. «Ma...»

«La bassezza di tirare fuori quell'episodio!» l'aveva interrotto Claudio.

«Non è una bassezza! È successo! Te ne sei dimenticato?»

No. Come avrebbe mai potuto dimenticare? Era un peso costante sul suo cuore. Un peso che non se ne sarebbe mai andato.

Poi Tiziano aveva continuato. «Non posso sopportare l'idea che pensino a me come il calciatore frocio. Se facessi coming out sarei quello. Quello e solo quello, per sempre. Io voglio essere: Tiziano Camporese il calciatore bravo. Non: Tiziano Camporese quello che lo piglia in culo. Penserebbero a me così. Mi vedrebbero e gli verrebbe in mente quello. È un'etichetta che non posso sopportare.»

Era la stessa ragione per cui Tiziano non era voluto andare alla festa insieme a Claudio. La sera in cui poi l'avevano picchiato. Perché non sopportava l'idea di essere guardato per tutta la sera come il fidanzato di Claudio. «Come un animaletto da esibizione» aveva detto.

Era sempre la stessa storia: paura di fare la figura del frocio.

O paura che fosse un'etichetta troppo ingombrante?

Claudio, forse, iniziava a capire il secondo punto di vista.

Appena tornato dall'incontro con la dirigenza della Roma, cominciava a capire i timori di Tiziano.

Lo avevano intervistato, alla fine dell'incontro. E non gli avevano chiesto nulla della partita. Nulla dell'incontro coi dirigenti e della stupida maglietta della Roma col suo nome.

Tutte le domande erano ruotate intorno alla sua omosessualità.

Come se ce pensassi da mattina a sera.
Quando in realtà gli unici momenti in cui ce penso è quanno me fanno 'ste domande der cazzo.

Claudio non aveva mai avuto paura di ciò che era e non si era mai vergognato di ciò che gli piaceva. E la cosa non era cambiata.

Ma cominciava a non sopportare più l'idea che tutti, adesso, lo vedessero in quel modo e solo in quel modo.

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora