7. Fatti, non parole

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«Che ce fai qua?» gli chiese Claudio. Brutale. Forse troppo brutale, più brutale di quanto intendesse.

Ma Tiziano non parve curarsene, sorrise.

Quel sorriso stupendo che gli illuminava tutto il volto.

No... non tutto il volto. I suoi occhi sono strani, oggi. Febbrili.

Tiziano entrò in casa senza attendere di essere invitato, le mani in tasca, la camminata un po' dinoccolata, diversa dal solito, quasi annoiata. Claudio chiuse la porta dietro di lui.

«Ehi, Wendy!» esclamò Tiziano, allungando la mano destra per accarezzare il cane. Ma Wendy si ritrasse, saltò sul divano e lo guardò da lontano con le orecchie basse. «Che c'è? Non mi riconosci?» In tutta risposta Wendy emise un ringhio e si rincagnò ancora di più, con le orecchie e la coda adese al corpo. Tiziano si rivolse a Claudio, fece un sorriso amaro. «Mi odia anche il tuo cane, adesso?»

Undici mesi e mezzo. Erano passati undici mesi e mezzo dall'ultima volta in cui l'aveva visto. Nonostante Tiziano vivesse a Roma, e tornasse spesso dai genitori, sui Castelli, Claudio aveva cercato in tutti i modi di evitare di incontrarlo di persona. E c'era riuscito.

«Me dici che cazzo voi? Non stavi a Mikonos cor tuo fidanzato?» lo incalzò Claudio.

Tiziano si fece improvvisamente serio. La sua espressione divenne ansiosa. «Voglio fare l'amore con te» disse in un sospiro.

Claudio non ebbe nemmeno il tempo di stupirsi per quella frasetta da romanzo rosa — un'espressione che Tiziano non aveva mai usato — perché se lo ritrovò addosso, con le braccia al collo e il viso a pochi centimetri, la bocca socchiusa in un tentativo di bacio.

Claudio infilò un braccio tra di loro, lo spinse via, per una questione di puro e semplice orgoglio, perché il suo corpo gli stava dicendo di reagire in maniera completamente opposta. Ma Tiziano era forte, era un atleta, puntò le gambe, lo avvinghiò con le braccia. Claudio ricordò tutte le volte in cui era riuscito ad avere la meglio su di lui, fisicamente, forte della sua differenza di peso e di altezza.

Non era più così.

«Tu mi ami ancora» gli disse Tiziano parlandogli davanti alla bocca, sempre quella stessa espressione melodrammatica sul viso. «Dimmelo... dimmi che mi ami ancora...»

Quelle parole completamente prive di senso mantennero Claudio sufficientemente lucido, gli diedero la forza di resistergli.

Ma che cazzo sta dicendo?
Dimmi che mi ami?!

«Sei impazzito o hai bevuto?» gli chiese, con un sorriso incredulo.

Quella richiesta era completamente fuori dal mondo.

Claudio non aveva mai detto a Tiziano quella frase. La trovava vuota, sdolcinata, priva di significato.

Fatti, non parole, era il suo principio morale.

Tiziano lo sapeva. E gli era sempre andato bene. Perché Tiziano non era stupido e lo capiva. Capiva che tutte le volte in cui gli aveva detto Ti amo, il sottinteso era che il sentimento fosse reciproco.

E allora perché adesso veniva da lui con quella richiesta? Che senso aveva?

Tiziano insisté. «Dimmelo. Non fare il duro, in realtà sei un tenero, io lo so...» Era una provocazione? «Lo so che mi ami ancora...»

Claudio era confuso da quelle richieste. Gli stringevano lo stomaco dall'emozione, e allo stesso tempo lo infastidivano. Gli sembrava quasi che Tiziano stesse cercando di provocarlo.

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora