46. Was hast Du gesagt?

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«Di tutte le cazzate...» cominciò Simone.

Marco lo interruppe. «Ma pensaci! È molto più logico così! Tra l'altro, se io davvero fossi un malvagio stregone che ha mire malvagie su te e Claudio, i tuoi poteri magici potrebbero essere una malvagia motivazione! Magari voglio rubarteli! E magari anche Claudio ha dei poteri magici! È per quello che vi ronzo intorno!»

Simone alzò un sopracciglio. «Noto una punta di sarcasmo?»

Marco rise.

Simone incrociò le braccia. Si mordicchiò il labbro inferiore, mentre rifletteva. «No» disse infine, «non credo sia una spiegazione plausibile.»

Tra i tanti motivi per cui pensava che l'ipotesi di Marco fosse sbagliata, ce n'era uno particolare e personale un po' difficile da descrivere a parole, ossia il modo in cui il suo cervello aveva percepito ciò che il suo corpo stava facendo mentre, poco prima, aveva risolto per la prima volta il cubo: come qualcosa di estraneo. Come se non fosse stato lui a risolverlo, ma un burattinaio nascosto in una stanza segreta della sua testa.

Simone ricordava di aver provato una sensazione simile in quei disgraziati giorni successivi al suo secondo desiderio, quello con cui aveva ottenuto il talento di Tiziano.

Ricordava lo stesso senso di estraneità, di scoperta, di sorpresa.

Poi, col passare dei giorni, ci si era abituato, e ora, quando giocava a calcio, quasi non ci pensava più, lo faceva con naturalezza, come se le sue abilità fossero davvero sue. Ma un leggero senso di straniamento, quello rimaneva sempre. Insieme alla consapevolezza che tutto ciò che aveva ottenuto non era merito suo.

Nel caso del desiderio era stato il genio a concedergli quel potere. In quel secondo caso forse non il genio, ma comunque doveva essere una forza magica esterna. Le due sensazioni erano troppo simili.

Simone cercò di spiegare a Marco quello che aveva appena pensato.

«Ma quale forza esterna?» ribatté lui, con l'aria di chi aveva appena ascoltato una sciocchezza.

«E che ne so?» Simone socchiuse le palpebre. «Tu?»

Marco roteò gli occhi. «Che palle... Spiegami perché avrei dovuto fare una cosa così stupida e senza senso! Insegnarti magicamente il cubo di Rubik! Ti rendi conto di quanto è assurdo?»

Simone aveva una teoria anche per questo e decise finalmente di esporgliela, per saggiare la reazione del ragazzo. «Semplice. Mi hai letto nel pensiero. Hai visto la mia infanzia. Hai visto che a sei anni facevo di tutto per conquistare l'amicizia di Claudio, bramavo la sua approvazione e cercavo di mettermi in mostra esibendo le mie doti, quello che sapevo fare... Quindi hai pensato di accendere un mio... interruttore psicologico, diciamo così. Hai pensato che sono un tipo che si conquista con l'adulazione. E quale miglior pretesto per adularmi? Oooh, Simoooone! Che braaaavo! Hai imparato a risolvere il cubo di Rubik in quattro e quattr'otto, devi essere un tipo intelligentisssssimo!»

Simone incrociò le braccia e lanciò uno sguardo di sfida a Marco, che lo fissò di rimando per diversi secondi con gli occhi sbarrati, la bocca leggermente socchiusa e quel suo ciuffo idiota che gli ricadeva in mezzo al naso. «Sorvolando sul fatto che da piccolo eri innamorato marcio di Claudio, credo sia la spiegazione più cretina e convoluta che abbia mai ascoltato in vita mia.» Scosse la testa. «No. Ma non ti rendi conto che la mia spiegazione è molto più semplice? Sei stato tu. Punto. E questa sensazione di... com'è che l'hai chiamata? Estraneamento?»

«Straniamento.»

«Ecco, questa sensazione di straniamento è dovuta semplicemente al fatto che era la prima volta  in vita tua che lo facevi.»

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora