126. Buio, vuoto, freddo

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«Simo', so' io...» Claudio provò a interagire.

Molto lentamente Simone sorrise. «Claudio...» ripeté, con voce debole.

«Come stai?»

Simone si fece serio. Abbassò lo sguardo. «Vuoto. Buio. Solo» disse.

«Oh, Simo...» sussurrò la voce di Marco, alle spalle di Claudio.

«Non sei solo, ce so' io, Simo'...» disse Claudio, e mentre lo diceva rivisse le sensazioni che aveva provato con lui durante il lungo percorso che avevano camminato insieme, poco prima. Si sentì anche lui vuoto, buio e solo, senza il suo amico, e temette che Simone non sarebbe mai uscito da quel vuoto.

Claudio gli prese la mano, Simone non la strinse. «Ce so' io, Simo'...»

Lo sguardo di Simone vagò intorno. Guardò a terra, con gesti estremamente lenti tastò l'erba.

«Sono tardi per la partita?» parlava a rallentatore e sembrava far fatica ad articolare le sillabe.

«No, abbiamo giocato prima, non ti ricordi?» La voce di Claudio si spezzò. «Io ho fatto un gol pazzesco...»

Simone sorrise. «Sì...» disse. «Mi ricordo.» Ricordava? Lo ricordava davvero? «Ti ho fatto l'assist.»

Claudio non riuscì più a trattenersi.

Scoppiò a piangere.

Piangere era un segno di debolezza di cui si era sempre vergognato, sin da piccolo. Tutti potevano vederlo, in quel momento, sul megaschermo e dal vivo intorno a lui, ma non gli importava.

Sentì una mano sul viso. Era la mano di Simone.

«Non piangere. Quello era troppo forte» disse. Di cosa stava parlando? «Avrebbe battuto Federer...» aggiunse.

E Claudio capì. Stava ricordando di nuovo il primo e ultimo torneo tennistico di Claudio. Quello in cui aveva perso zero sei zero sei.

Quello da cui era nato tutto.

Se Claudio avesse dovuto identificare il momento esatto in cui si era innamorato di Simone, da ragazzino, quello era stato il giorno. Simone l'aveva salvato. Con quella sua proposta: andiamo a calcio insieme. La certezza di non essere solo aveva dato a Claudio la forza di opporsi a suo padre, di mollare il tennis, di scappare via.

E grazie al calcio, poi, aveva conosciuto anche Tiziano.

Era nato tutto da lì, le cose più belle della sua vita erano nate quel giorno, da quella sconfitta. Da un'idea estemporanea del suo migliore amico.

Il suo migliore amico che non esisteva più.

Claudio abbracciò Simone. Lo strinse disperatamente. «Non è per quello che sto a piagne, Simo'...»

«Andiamo a calcio... insieme...» disse Simone, lasciandosi abbracciare, ma con gli arti che cadevano a peso morto ai suoi fianchi, le mani appoggiate all'erba.

«Ok» singhiozzò Claudio. «Andiamo a calcio insieme.»

Claudio rimase lì a stringerlo e piangere. Il suo migliore amico. Il suo migliore amico aveva sacrificato la sua anima per salvarlo.

Il suo migliore amico che aveva provato disperatamente ad avvisarlo. E lui non gli aveva creduto. Per l'ennesima volta non gli aveva creduto.

«Scusa, Simone. Scusami. Perdonami.»

Mentre lo stringeva Simone sussurrò di nuovo: «Buio. Vuoto. Freddo.»

Claudio lo strinse più forte, desiderando con tutto se stesso di ridargli i pezzi d'anima che gli aveva tolto.

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora