32. Vomito e ghiaccio

3.4K 463 553
                                    

Claudio stava correndo. Muoveva le gambe per arrivare in cima a quella maledetta gradinata: destro, sinistro, destro, sinistro... Ma non erano più le sue gambe. Ormai da diversi minuti gli sembrava di essere uscito dal suo corpo. Gli sembrava che fosse il cervello di qualcun altro che impartiva ordini ai suoi muscoli.

«Ok, torna giù e ultima risalita. Giuro poi basta.»

«Avevi... uh... detto... ah... basta... uh... pure...»

«Sì, pure un giro fa, 'o so. Ma non avevo detto giuro. Stavolta ho detto giuro, quindi giuro che è l'ultima gradinata che te fai.»

Claudio ritornò alla base dei gradoni del campetto sportivo, odiando suo padre con tutto se stesso. Non era il campo sportivo del centro allenamenti del Felsina. Era un campetto da terza categoria, con l'erba spelacchiata e pochi gradoni di cemento come tribuna. Non aveva idea di come il padre avesse ottenuto le chiavi. O se pagasse qualcosa per affittarlo.

Era il secondo giorno che viveva con lui, e il primo di allenamento.

La prima giornata era stata tutta dedicata al trasloco: avevano portato nell'appartamento le poche cose di Claudio (una valigia, il borsone sportivo e uno scatolone di testi universitari) e quelle del padre, che era venuto da Roma con un furgone a noleggio pieno di vestiti, libri, attrezzatura da tennis e da palestra e persino diversi strumenti culinari.

Il trilocale che il padre aveva scelto non era male: pareti scure e arredamento anni settanta, ma ben tenuto e non troppo angusto. Oltre alla camera di Claudio c'erano quella del padre, un piccolo bagno e un locale che fungeva da soggiorno e cucina.

La sera del giorno precedente, Claudio si era ritrovato talmente stanco per la giornata di trasporto e pulizia (si trattava, fortunatamente, del giorno di pausa dagli allenamenti), che aveva finito per crollare sul letto (l'unico nuovo pezzo di arredamento della casa, comprato dal padre, su misura per lui) e si era addormentato senza quasi accorgersene.

La nottata non era stata delle più tranquille, infestata da brutti sogni. Sogni dolorosi, nel vero senso della parola: aveva sognato di patire del dolore fisico. Un dolore senza un contesto o un'origine precisi, ma talmente vivido che ancora gli era sembrato di sentirne qualche strascico la mattina dopo, quando era stato buttato giù dal letto alle sei (almeno tre o quattro ore prima dell'orario a cui era solito svegliarsi). 

Il padre gli aveva fatto mangiare un piccolo spuntino — di cui Claudio non ricordava nemmeno il sapore, per quanto era ancora addormentato mentre lo inghiottiva — e l'aveva trascinato fuori casa. E dopo un'ora di corse pazze sui gradoni, cominciava finalmente a rendersi conto dell'enormità di quello che stava accadendo: stava vivendo insieme a suo padre. E ci avrebbe convissuto per diversi mesi.

Non era più sicuro che fosse stata una buona idea, accettare la sua proposta, farsi allenare da lui. Quella preparazione atletica era troppo intensa. Sentiva di essere arrivato al limite. Sentiva che se avesse sollevato la gamba ancora una volta i suoi quadricipiti si sarebbero sfilacciati in mille pezzetti.

Ma riuscì a farlo. Puntò il piede sull'ultimo gradino, mentre suo padre dal campo lo incitava. E arrivato in cima, totalmente inaspettato, sentì lo stomaco contrarsi e vomitò sul cemento. Era un vomito acido e giallognolo. Claudio chiuse gli occhi e si appoggiò ai seggiolini alla sua destra, per non crollare a terra.

«Eddaje! Ce l'hai fatta finalmente!» gridò il padre, mentre correva allegro verso di lui. «Congratulazioni per il tuo primo vomito da sforzo!» Gli diede una pacca sulla spalla e gli porse una borraccia d'acqua. «Tiè, sciacquate la bocca e poi bevi un po'. Sorsi piccoli.»

Claudio gli rivolse un'occhiataccia, mentre si riempiva la bocca d'acqua. Sciacquò e sputò a terra. «Te rendi conto, sì...» Prese un po' di respiri, perché non riusciva a parlare. «Te rendi conto che se vomiti il tuo corpo ti sta dicendo che stai a fà la cosa sbagliata?» Prese un altro respiro e un sorso d'acqua, che stavolta inghiottì. «Nun te vie' er dubbio che st'allenamento è troppo intenso?»

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora