130. Pe' chi cazzo m'hai preso, pe' Usain Bolt?

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«No!» gridò qualcuno alle sue spalle.
«Il secondo desiderio!»
«Attenti!»
«Sacro Genio!»

Claudio venne di nuovo schiacciato contro la macchina.

Nelle orecchie aveva le grida di Tiziano, di Marco, di sua madre e dell'evocatrice che abitava il corpo di suo padre, e sottopelle il dolore degli attacchi.

Devo esprimere il desiderio, pensò. In fretta!

Ma aveva paura! Paura di dire la cosa sbagliata.

Le grida di dolore che udiva gli laceravano il cuore più di qualsiasi incantesimo.

Avrebbe voluto interrompere quello strazio e proteggerli. Proteggere le persone che amava. Proteggerle per sempre.

La luce azzurra che avvolgeva la macchina si spense.

All'improvviso.

E cessò il dolore.

Gli aggressori si allontanarono, fissando Claudio con sguardi stupefatti.

«Che succede?» disse Claudio, guardandosi intorno incredulo.

Si accorse che Tiziano, Marco, sua madre e suo padre (no, l'evocatrice) non gridavano più.

Claudio guardò il campo di battaglia: Artemide Vinci giaceva stesa sul prato, immobile. Era morta o solo svenuta?

Chi non era sicuramente morto era l'uomo rettangolare, che avrebbe potuto risvegliarsi dal proprio mancamento da un momento all'altro. Accanto a lui, invece, un corpo che morto lo era sicuramente: quello di Ares.

E tutto intorno una folla di maghi. Una folla di maghi impotenti. 

Tiziano ansimava, ancora carponi. Alzò la testa e fissò i suoi occhi in quelli di Claudio. «Sei stato tu?» sussurrò.

«Ma io... io non ho detto niente...» disse Claudio.

«L'hai pensato, però. L'hai voluto con tutto te stesso» disse la voce di Margherita. Sembrava stremata. Era rimasta per tutto il tempo in disparte, ad aiutarli per quanto poteva con i suoi incantesimi. Era ancora in piedi di fronte all'imbocco del tunnel, e si reggeva tenendosi a una transenna.

«Non riesco più ad attaccare!» gridò qualcuno.
«Non riesco nemmeno ad avvicinarmi!»
«Maledetto!»
«Dovrete pagare! Dovrete pagare per la morte del Venerabile!»

Nessuno ha capito che è ancora vivo... pensò Claudio. E pensò anche che non era il caso di dirglielo, altrimenti qualcuno lo avrebbe risvegliato: sembrava un mago molto potente, e non era certo che l'incantesimo che stava tenendo a bada la folla di adepti avrebbe avuto lo stesso effetto su di lui.

Pensò, infine, che non era il caso di continuare a star lì immobile a rimuginare e recriminare.

«In macchina. Veloci!» gridò Claudio.

La madre trascinò l'evocatrice col corpo di suo padre, ancora in evidente stato confusionale, sul sedile dietro, accanto a Simone e Marco, che era già entrato. Tiziano corse dall'altra parte della macchina per salire sul sedile del passeggero e Claudio si mise alla guida.

Claudio si era tolto le scarpe, prima, per non faticare a camminare sul cemento coi tacchetti. Ora si pentiva di averlo fatto: guidare in calzini non era semplice.

Ma lo fece.

Chiusero le portiere e Claudio partì, con le ruote che slittavano un po' sull'erba umida.

Puntò Margherita e frenò accanto a lei, che per fortuna capì al volo.

«Fatele spazio!» intimò Claudio.

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora