115. Sangue, piscio o lacrime

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Simone non credeva di aver mai provato qualcosa di neanche lontanamente simile al terrore che lo soffocò quando udì quelle quattro parole: il tuo fidanzato muore.

Fino a quel momento la pistola era stata una minaccia astratta. Simone l'aveva vista, ma l'aveva percepita, nemmeno lui avrebbe saputo dire perché, come un giocattolo.

Quella frase l'aveva appena fatta diventare reale.

Marco aveva ritrovato la voce, ma erano solo lamenti strazianti quelli che gli stavano uscendo dalla gola.

«Ops» disse l'illusionista. «Credo che il tuo tesoruccio si sia appena pisciato addosso. Che schifo, cazzo!» Ma più che disgustato sembrava divertito.

Simone vide una chiazza scura allargarsi sui pantaloni di Marco, all'altezza del cavallo. Continuava a gemere. Erano come ululati tremanti. Simone non li sopportava, gli laceravano le orecchie, il cervello, il cuore.

«Basta! Basta!» gridò Simone portandosi le mani alle orecchie.

No, Simone. Agisci razionalmente. Solo tu puoi interrompere questa tortura.

«Ridammi i poteri e questa pistola torna nella mia tasca. Credimi, lo preferisco anch'io. Meno gente muore, meno casini per me. Fai in fretta!»

«N-no Simo... n-non f-farlo...» disse Marco, ma Simone non si controllò. Fu la paura a far fluire l'energia magica fuori dal suo corpo. La sua volontà di salvare Marco aveva attivato i suoi poteri scavalcando coscienza e inibizioni.

«Troppo tardi!» disse Ares.

Simone cadde a terra, i muscoli improvvisamente deboli e un bianco abbacinante davanti agli occhi, Simone non capì a cosa si stesse riferendo Ares con quel "troppo tardi", se alla vita di Marco o alla sua richiesta a Simone, e la paura si mescolò alla nausea, l'udito si ovattò, il mondo da bianco divenne nero, udì uno sparo, Marco che gridava, due spari, no! 

Marco...

No...

Tutto sembrava andare a rallentatore. Il bastardo rideva rideva, rideva... rideva... ogni promessa è debito, diceva. Marco piangeva. 

Marco...

È vivo...

Una porta si chiudeva, e improvvisamente, mani sul suo viso. 

Simone... perché... perché... perché...

Era un'eco nella sua testa o Marco stava ripetendo le parole? 

Perché l'hai fatto, non morire, ti sanguina il naso. 

Parole lontane, vorticavano nella sua testa.

Le mani di Marco erano umide, di piscio, di lacrime o di sangue? A Simone non importava, voleva baciarle.

Ma non aveva forza per muovere le braccia, allora protruse le labbra, cercando di catturare la sua pelle.

«Cosa c'è Simone? Vuoi dire qualcosa?» La voce di Marco era la voce di qualcuno che stava piangendo.

«S-sei v-vivo...» Aveva parlato? Simone non era riuscito a udire la sua stessa voce, forse perché era troppo debole, forse perché le sue orecchie sembravano piene di ovatta, forse entrambe le cose.

«Shh, non parlare» disse Marco continuando ad accarezzare il viso di Simone. «Sono vivo. Sto bene.»

«Non ti vedo...» sussurrò Simone.

«Perché l'hai fatto?» singhiozzo Marco.

Simone non disse nulla. Respirò lentamente e profondamente per cercare di portare ossigeno al cervello.

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora