23. Disperazione

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Marco era ancora in piedi davanti a lui, di schiena, con i pantaloni abbassati. Claudio si sentì orribile. 

E infuriato.

Infuriato con Marco. Nonostante Claudio l'avesse implorato di resistergli, gli era praticamente saltato addosso.

E infuriato anche con se stesso. Si disse che non era colpa sua. Ma non era vero. Era anche colpa sua. Avrebbe potuto resistere. Avrebbe potuto scappare, andare a nascondersi da qualche altra parte.

Invece era rimasto lì, e aveva ceduto agli influssi dell'incantesimo.

Forse sarebbe bastato che mi facessi una pippa, pensò, una pippa pe' i cazzi miei.

Faticava a comprendere l'enormità di ciò che gli era successo. Artemide Vinci gli aveva fatto un incantesimo. Come e perché lo avesse fatto Claudio non ne aveva idea. Ma l'aveva fatto. Aveva usato della magia su di lui. 

Magia.

Devo chiamà Simone. Devo parlarne con lui. Subito. Stasera.

Lo avrebbe fatto certamente preoccupare, ma con chi altro avrebbe potuto discutere di quegli argomenti? Con nessuno. Solo con lui. Il suo migliore amico.

Gli avrebbe detto tutto, non solo ciò che era successo quella sera. Gli avrebbe mostrato la foto in cui appariva la donna della Polaroid a Salerno, gli avrebbe detto delle visioni prismatiche. Claudio si stava iniziando a convincere che avessero anch'esse un significato magico: non poteva essere una coincidenza che fossero iniziate proprio quel giorno, il fatidico giorno in cui Maga Magò era morta tra le sue braccia.

Forse potrei annà a Modena da lui... Se me vede in carne e ossa vivo e vegeto se agita de meno.

Un sospiro di Marco lo riportò alla realtà. Si rese conto di avere i pantaloni ammucchiati sui piedi. Si chinò per tirarli su, li riallacciò, mentre Marco faceva lo stesso.

Infine il ragazzo si voltò verso di lui. «Lo pensi ancora?»

«Penso cosa?» gli chiese Claudio, con lo sguardo fisso nel vuoto.

«Che non mi vorrai mai più?»

Marco lo cinse, appoggiò il mento al suo petto, lo guardò dal basso. Claudio, per qualche istante, si sentì talmente in colpa che l'abbracciò. Non era un abbraccio d'amore, la sua intenzione era quella di consolarlo.

Ma Marco lo interpretò diversamente. «Oh, Claudio...» disse dolcemente. Posò la guancia sul petto, ricambiò la stretta. Claudio si rese conto che stava facendo di nuovo la cosa sbagliata, quindi lo allontanò. 

Sì, lo penso ancora.
Come cazzo faccio a dirglielo?
Come faccio a dirglielo ed essere credibile?

Come faccio a dirglielo e non farlo sentì 'na merda?

Marco non sembrò preoccuparsi dell'improvvisa freddezza di Claudio. Gli rivolse un sorriso malinconico. «Hai paura di rimanere di nuovo scottato, vero? È per questo che fai tanto il duro... Un po' ti capisco, sono rimasto scottato anch'io, una volta...»

Marco stava interpretando la realtà secondo parametri da soap opera, senza conoscere la verità. Ma Claudio non poteva dirgli la verità.

Decise allora di fare quello che gli riusciva meglio. Decise di fare lo stronzo. 

«Marco, nun te fà i firm. Nun sei 'r mio tipo. Ci avevo voglia de scopà. Amo scopato. Sto a posto.» Quelle parole uscirono a fatica dalla sua bocca.

Marco aggrottò le sopracciglia. Poi sorrise ancora. «Eddai... non sono il tuo tipo?» Scosse la testa. «Abbiamo appena scopato la scopata più passionale che abbia mai scopato in vita mia e hai il coraggio di dirmi che non sono il tuo tipo? No. Non ti credo.»

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora