124. La R4

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Claudio doveva aver trascorso parecchio tempo, in quella stanza con Simone, perché lo stadio era deserto. Le luci quasi completamente spente, silenzio tutto intorno. Non c'era più nessuno.

Aveva Simone in braccio. Aveva deciso di portarlo con sé. I tre uomini che facevano da scorta al gruppo non avevano obiettato alcunché.

Mentre camminavano, la madre gli aveva spiegato brevemente ciò che era accaduto mentre lui e Simone erano rimasti soli nella stanza: dopo essere scappato, Ares, con la collaborazione dell'infiltrato Leonardo (il buttafuori che aveva separato Claudio da Tiziano) avevano liberato i membri della setta e messo fuori gioco la gendarmeria, probabilmente sfruttando in qualche modo il legame di Ares con Artemide e l'accesso agli incantesimi scudo. Avevano teso loro un agguato, mentre erano fuori dalla stanza ad aspettare che Simone finisse ciò che stava facendo con Claudio (su questo punto la madre non aveva dato altre spiegazioni: cosa aveva fatto Simone, di preciso? era una delle poche cose che Claudio non capiva), e li avevano facilmente soggiogati con degli incantesimi. Claudio ormai non si stupiva più di quante cose sapeva, senza sapere come le sapeva. La gendarmeria, il ruolo della Vinci nell'operazione, e persino il fatto che i suoi genitori sapessero tutto, a insaputa di Claudio.

«E Serafin? Dov'è?» le chiese Claudio.

«Non sappiamo...» cominciò la madre.

«Silenzio!» ordinò Leonardo. La maledetta talpa. La madre si morse il labbro inferiore, chinò il capo e proseguirono la passeggiata senza più parlare.

Simone era freddo. Respirava a fatica e il suo battito cardiaco era debolissimo.

Quei maghi volevano qualcosa da Claudio.

I miei desideri... La mia anima...

Come faccio a sapere queste cose?

Qualsiasi cosa volessero, Claudio aveva già deciso: gliel'avrebbe data. In cambio avrebbero salvato Simone. Esistevano pozioni che ridavano le forze. Un'altra cosa che Claudio sapeva.

Camminarono a passo spedito attraverso i corridoi interni dello stadio, Claudio avanzando a fatica col corpo svenuto di Simone che gli pesava sulle braccia.

E sentimenti a cui non era abituato lottavano per emergere da dentro di lui: paura. E un'inspiegabile voglia di piangere.

Se poteva trovare giustificazione alla paura nell'indeterminatezza della situazione, nel non sapere dove fosse e come stesse Tiziano, non riusciva a spiegarsi la voglia di piangere. Claudio non era un frignone. Non lo era mai stato. Ricordava perfettamente qual era stata l'ultima volta che l'aveva fatto: quattro anni prima, in quel ritiro di montagna durante il quale si era innamorato di Tiziano, davanti a Tiziano. Che l'aveva abbracciato e consolato.

Avrei bisogno di un abbraccio, mo'...

Giunsero infine all'imbocco del tunnel, il tunnel che aveva percorso per la prima volta appena qualche ora prima, quando era sceso in campo per giocare la partita. Gli sembrava un evento così distante, ora.

Uscirono. Il campo era immerso nel buio, e faceva un po' impressione vederlo così. I tre uomini li scortarono al centro del rettangolo.

Claudio stese Simone a terra, perché gli dolevano i muscoli delle braccia; lo fece più delicatamente possibile. Saggiò il suo battito sulla giugulare: sempre presente ma sempre debolissimo.

«Come sta?» sussurrò Marco.

Marco...

Sentirlo penare gli spezzava il cuore. Perché? Claudio lo guardava, e guardarlo gli causava un tumulto interno che non riusciva a spiegarsi. Era un incantesimo? Gli sembravano sensazioni estranee, incomprensibili. Erano effetti residuali della pozione che gli aveva dato Serafin?

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora