44. La tequila scende facile

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«Stronzoooooooooo!» Simone butto giù l'ennesimo cicchetto di Tequila.

Mica mi ricordavo che scendeva giù così facile, la Tequila.

«Con chi ce l'hai?» gli chiese un avventore, ridendosela di gusto.

«Con quello stronzo di Claudio!» Simone sbatté il bicchierino sul bancone del bar. «Questo è per te, Claudio. Vediamo se vieni a farmi l'ennesima paternale.»

Iniziava a girargli la testa.

No, iniziava non era il verbo giusto: la testa gli girava già da diversi cicchetti. Iniziava a girargli lo stomaco, ecco cosa stava davvero cominciando ad accadere in quel preciso momento.

Non aveva bevuto tantissimo, non per i suoi standard, ma era parecchio che non toccava alcol. Precisamente, da quella disgraziata sera in cui si era ubriacato per trovare il coraggio di provarci con lo stagista.

«Dio che culo che aveva lo stagista...» biascicò, appoggiandosi al bancone. «Ohi ohi... me sto a sentì male...» Chiuse gli occhi.

«Qualcuno può accompagnare fuori questo ragazzo?» disse una voce ignota alle sue spalle.

Perché mi sono ubriacato?
Sono proprio un coglione smidollato.
È colpa di Claudio. Quello stronzo insensibile.

«Insensibile ingrato macho del cazzo...»

Si sentì prendere da due mani sotto le ascelle. Cercò di protestare: «No, sto male, lasciami qua, due minuti.»

«Se non sei capace di bere non dovresti esagerare con gli shottini» disse una nuova voce dall'aldilà.

Simone mulinò un dito in aria, mentre le due mani che l'avevano afferrato poco prima lo stavano facendo alzare in piedi. «Con chi credi di parlare? Ho bevuto più io nella mia breve vita di tutti quanti qua dentro!»

«Bravo, vantatene.» Risate.

Erano due persone, e lo trascinarono fuori, lo misero a sedere a terra. Simone si rese conto che avevano ragione, avevano fatto bene ad accompagnarlo fuori: era arrivato il momento di tornare a casa. Si rovistò in tasca per cercare le chiavi della Subaru. Le trovò.

«Ma tu sei tutto scemo, vuoi metterti a guidare in questo stato?» disse uno dei due.

«Devo tornare a casa...» biascicò Simone. Le parole gli uscivano a fatica. Guardò davanti a sé e vide finalmente chi è che gli stava parlando: un uomo sui quaranta e un ragazzo che doveva avere su per giù la sua età.

«Dove abiti?» gli chiese il ragazzo.

«A Modena.»

«Non conosci nessuno qui a Bologna che ti può ospitare?»

«Sì.» A Simone venne voglia di piangere. «Quello stronzo di Claudio!» Lasciò sfogo alle lacrime. «Perché ho bevuto? Sono proprio un coglione smidollato.»

Il ragazzo gli diede due pacche sulle spalle. «Dai, dai... sù... Possiamo chiamare insieme Claudio, così...»

«No!» gridò Simone. «Quello stronzo! Mi deve chiamare lui!»

«Non conosci nessun altro, a parte questo Claudio?» si intromise l'uomo.

Simone rise. «Avoja! Io conosco un sacco di gente! Faccio il calciatore, sai?»

«Ok. E non possiamo chiamare qualcuno, tra tutta questa gente che conosci?» disse il ragazzo.

Simone aveva perso il filo del discorso. «Chi dobbiamo chiamare? Perché?» Si sentiva piacevolmente intontito. Si rese conto di quanto gli fosse mancata quella sensazione di torpore, il mondo che scivolava pian piano dentro una spessa ovatta, che attutiva, intrappolava tutti i problemi.

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora