77. Ah, l'amour

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19 dicembre

Marco l'aveva lasciato solo.

Col risotto. E il vino. Che non avrebbe bevuto.

Simone aveva i crampi dalla fame, quindi attaccò il risotto senza troppi scrupoli.

Non temeva fosse avvelenato: se Marco avesse voluto ucciderlo l'avrebbe già fatto.

Se le promesse del bastardo erano vere, Simone avrebbe dovuto resistere una notte, solo una notte senza idratazione. E quel risotto avrebbe contribuito a reintegrare almeno un po' di liquidi. E i saccottini?

No, quelli non credo siano molto utili...

Non avrebbe bevuto il vino. Era quello che voleva Marco. Non l'avrebbe fatto.

Piuttosto mi bevo il mio piscio, cazzo.

Che gli scappava di nuovo.

Com'è possibile che mi scappi se non ho bevuto?

La situazione gli sembrava sempre più surreale. Sentiva che avrebbe dovuto aver paura, lui che aveva sempre paura di tutto, ma si trovava in una condizione di tensione calma. Più un'aspettativa che un timore.

Prigioniero in una stupida cantina d'appartamento, senza catene, con una selezione di vini pregiati e un risotto ai frutti di mare.

Guardando la forchetta con cui stava mangiando, si rese conto di quanto Marco fosse sicuro degli incantesimi che lo proteggevano. In quella cantina c'erano dozzine di possibili armi con cui Simone avrebbe potuto assalirlo e ferirlo: i cocci di bottiglia o del piatto di ceramica da cui stava mangiando, la forchetta, chiodi dei mobili, schegge di legno... E forse avrebbe potuto fare qualcosa anche con l'elettricità della lampadina che illuminava la stanza.

Simone finì il pasto, pisciò di nuovo sul suo vecchio piscio rappreso, si fece una specie di giaciglio coi giornali e pensò che la cosa forse più utile da fare per cercare di difendersi da un telepate era svuotare la mente con degli esercizi di meditazione... prima di ricordare che era stato Marco stesso a incoraggiarlo a meditare, regalandogli quel libro, e che quindi probabilmente quelle pratiche non avevano alcuna utilità, anzi, era possibile che rendessero la mente più prona agli attacchi.

Si addormentò pensando a Marco, a quanto gli era sembrato tenero, quel giorno, con quel libro sugli antichi astronauti, e quanto si era commosso per il regalo... e fu svegliato dallo stesso Marco dopo un tempo imprecisabile.

Simone aveva le labbra secche e fessurate, e il corpo tutto indolenzito.

«Buongiorno piscialletto!» Marco chiuse la porta della cantina dietro di sé e strinse le narici tra le dita. «Dovrò fare un bel trattamento di pulizia, qui.»

«Ho sete» disse Simone, tirandosi su in piedi.

«Potrei risponderti: cazzi tuoi, avresti potuto bere quello che ti avevo lasciato da bere» ribatté Marco indicando i vini. «Ma oggi è la tua giornata fortunata, la risposta è diversa. La risposta è: tra dieci minuti sarai fuori e potrai bere ciò che ti pare, quanto ti pare.»

Finalmente...

«Contento, eh? Ovviamente ci sono delle condizioni.»

«Non posso fare altro che accettarle, immagino. Altrimenti farai del male a me o a Claudio.»

«Braaavo, vedo che capisci. Allora. Sappi che ho riflettuto seriamente se ucciderti. Non sto scherzando. Da un certo punto di vista sarebbe la cosa più facile, per me.»

Simone cercò di deglutire, ma aveva la bocca talmente arsa che la sua lingua gli sembrò carta vetrata contro il palato.

«Ma ucciderti mi creerebbe anche delle complicazioni noiose. Claudio si allarmerebbe troppo. E ci sarebbe un'indagine. Non mi prenderebbero mai, ma...»

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora