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                                      JANE

"E allora sarò costretto a dire che Jacqueline non è figlia di John ma bensì di Colin." disse avvicinandosi a me, vidi Alexander girarsi di scatto e guardarmi incredulo ma quell'espressione scomparve dopo poco.

"È la mia parola contro la tua." risposi mentre lui mi girava intorno come un predatore.

Camminò molto lentamente verso i cassetti della scrivania e prese due bustine, in entrambe c'erano dei capelli.

"Tua figlia e Colin." disse alzando le due bustine trasparenti. "Come io abbia queste capacità non importa al momento." continuò saccente.

Andai verso di lui a passo sicuro e gli diedi due schiaffi fortissimi, prontamente mi prese dal collo: "Devi ammazzare John." mi disse fissandomi a lungo negli occhi.

"O in caso contrario, farò trapelare quello che già sai." continuò lui arrogantemente.

Tenendomi dal collo mi fece sedere a forza su una poltrona accanto a quella di Rivera.

"Il tuo ex marito del cazzo mi sta creando problemi con i miei giri."

Gli diedi un calcio sulla gamba e subito lasciò la presa, poggiai la schiena allo schienale e distolsi lo sguardo da entrambi.

"Adesso Rivera ti accompagnerà da lui, è legato nel mio capannone, quello che conosci bene." disse Adrian.

"Non lo farò." risposi ricambiando i suoi sguardi.

"Non è un mio problema. La gente crede molto ai giornali, soprattutto a chi rilascia spesso interviste tipo me. Tu...fuggi dalle telecamere e poi io ho le prove, posso provarlo."

"Uccidilo tu o fallo uccidere da qualcun altro."

"L'unica persona che dovrà vedere in fin di vita, sei solo tu. Deve morire quel pezzo di merda." disse lui.

"Voglio che quelle bustine spariscano." dissi dandogli quello spiraglio di speranza che io lo avrei ucciso. "Questo lo decideremo dopo, se lo farai." continuò lui.

Mi girai verso Rivera non capendo perché fossi così silenzioso e distaccato e mi alzai.

Uscii fuori e Alexander mi venne dietro, tornai al tavolo dove eravamo prima e presi cappotto e borsa uscendo fuori.

Avrei escogitato qualcosa, ma stavolta avrei preferito farlo fuori quel tutto fumo e niente arrosto.

Individuai l'auto del mio autista quando Rivera mi afferrò la mano tirandomi a sé: "Vuoi ammazzarlo?"

"Mh adesso ti ricordi che esisto?" dissi togliendo la sua mano dalla mia, lo fulminai con lo sguardo sotto il suo sorriso saccente ed entrammo entrambi nell'auto del mio autista.

"Signora dove la porto?" disse l'autista.
"In campagna al capannone." risposi.

Rivera estrasse la sua pistola e provocandomi la infilò in mezzo alle mie gambe scendendo più sotto mentre mi guardava.

Mi girai verso di lui mettendogli istintivamente una mano sul braccio, puntai i miei occhi nei suoi fissandolo, volevo dimenticare tutto, il mio passato ed era in quel momento che lui giocò su uno dei miei momenti deboli, era l'unico a saperli vedere.

Gli spinsi il braccio levando la pistola e mi girai verso l'autista: "Vai a casa mia."

Rivera mi guardò con aria fredda, si accese una sigaretta abbassando di poco il suo finestrino oscurato buttando il fumo fuori.

Presi il telefono dalla tasca del cappotto e proprio in quel momento mi chiamò Logan, risposi subito: "Dimmi."

"Sto venendo a casa tua, dobbiamo parlare."
"Mh non permetterti, non sono a casa, ti richiamerò io." attaccai la chiamata senza dargli la possibilità di proferire parola.

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                                RIVERA

Arrivammo davanti al cancello e le guardie aprirono il cancello, mi girai verso di lei che fissava ogni movimento di qualunque cosa spostando gli occhi con quella tale freddezza.

L'autista parcheggiò e scendemmo dalla macchina, si avvicinò all'ingresso quando la tirai a me afferrandola da un fianco: "Cosa credi di fare?" dissi guardandola con la sua stessa glacialità.

"Quello che hai sempre voluto." mi disse fissandomi per poi girarsi ed entrare.

La seguii al piano di sopra fino alla grande stanza patronale, si tolse il cappotto e si girò verso di me.

Avanzai verso di lei afferrandola forte dal collo e guardai ogni singolo centimetro del suo viso così provocante, spigoloso e meraviglioso.

Mise una mano sui miei pettorali per poi continuare a salire verso il mio collo che strinse all'improvviso spingendomi sul letto.

Mi guardò compiaciuta in piedi al letto: "Lo sai che sei un povero illuso vero?"

Mi alzai mettendomi a pochi centimetri dal suo viso e dal suo corpo che trasudava sensualità: "Quello che so è che stai guadagnando tempo pur di non ucciderlo." risposi fissandola.

Si avvicinò al lobo del mio orecchio: "Con me non scoperai mai." disse per poi allontanarsi.

La tirai dai capelli scaraventandola sul letto, mi misi steso sopra di lei, le aprii le gambe con violenza poggiando il mio membro su di lei.

La vidi mordersi il labbro per poi ribadire: "Non funzioneranno i tuoi giochetti."

Le sbottonai i pantaloni tirandoglieli giù con violenza e vidi quelle gambe così belle, toniche e sexy.

Le tolsi i tacchi a spillo gettandoli all'aria, le strappai le mutandine e sputai su due dita della mia mano destra.

"Alexander abbiamo da fare, ricordi?" disse compiaciuta provocandomi. Le misi con violenza due dita dentro di lei.

Inarcò la schiena guardandomi, mi tirò dal collo, gli tolsi le mani con violenza e mi sbottonai i miei pantaloni.

Mi ero promesso di non farlo ma era troppo tardi per la mia erezione e poi era finalmente lì, proprio davanti a me.

La penetrai con forza e con le sue mani strinse tra le sue dita il tessuto delle coperte. Era così dannata e sexy, ansimava e mi guardava con quel suo solito sguardo.

Mi mise ancora una volta una mano sul collo capovolgendo la situazione e me la ritrovai sopra di me: "Non è a te che spetta il controllo."dissi io fissandola.

Mi cavalcò con forza e violenza.
La tenevo stretta dalle cosce quando ribaltai ancora una volta io a chi spettava il potere, a me.

Spinsi con violenza il mio membro dentro di lei, mi avvicinai al suo collo baciandolo e mordendolo.

Continuava ad ansimare sempre di più e la sua voce sexy rendeva il tutto ancor più forte e violento.

Tirò il mio viso verso il suo poggiando le mie labbra contro le sue, scattò un bacio passionale che man mano diventò sempre più focoso e incontrollato.

Iniziai a dare spinte molto violente facendole provare dolore appositamente, mi morse il labbro raggiungendo l'orgasmo.

Venimmo entrambi, mi risistemai, mi alzai e uscii dalla stanza guardandola cercando un altro bagno.

Uscii da quella stanza soddisfatto e appagato, era accaduto.

Jane...Jane FoxDove le storie prendono vita. Scoprilo ora