Jane, Jane Fox. Da professoressa a ereditiera, una vita fatta di scoperte, di amori, di violenza e sesso sfrenato. La sua storia vi attende.
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Molte ore dopo, ero ancora seduta sulla poltrona della mia scrivania a chiudere cartelle ed aprirne altre. Mi alzai con un documento tra le mani ed uscii, percorsi qualche metro di quel corridoio ed entrai nell'ufficio di Rivera.
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Lo trovai seduto, con la camicia sbottonata a non fare niente con quel viso e sguardo provocante.
Gli misi il documento sulla scrivania: "Compilalo." dissi fissandolo.
"Lo farò." disse lui mentre allungò la mano prendendo da una mensola il pacchetto di sigarette.
"Rivera sei qui per lavorare, non per fissare il muro." gli dissi con tono freddo uscendo dal suo ufficio e lasciandogli la porta appositamente spalancata.
Entrai nel mio e chiusi la porta ma in quel momento la porta si riaprì: "Signora Fox, la stiamo attendendo per la riunione."
Uscii dalla stanza e mi incamminai con questa specie di segretario che non calcolavo mai, nella sala riunioni. Mi sedetti al solito posto e c'erano tutti tranne chi? Alexander Rivera.
"Chi manca?" disse un direttore guardandomi.
In quel momento entrò con la camicia sbottonata mentre canticchiava una canzone italiana mai sentita prima e si sedette a capotavola difronte a me. "Possiamo iniziare." disse Rivera.
"Prendo la parola prima del Direttore Smilth, vorrei progettare una futura collaborazione con brand esotici, ad esempio un..." la interruppi prima che continuasse: "No. Prossima proposta." dissi guardando il resto dei direttori.
"Bene io ripropongo una collaborazione con brand italiani, Donatella Versace, Giorgio Armani e molti altri."
Rivera fece un fischio di approvazione, guardai Smilth scrutandolo e dopo qualche secondo diedi la mia approvazione: "Si può fare."
"Bene, riunione terminata, tutti a casa. Basta così per oggi." dissi alzandomi mentre mi toccavo la schiena indolenzita.
"La Fox sta invecchiando." mi disse Rivera passandomi accanto.
Lo ignorai entrando nel mio ufficio e chiudendo la porta dietro di me. Mi avvicinai al lungo specchio nell'angolo, mi sistemai il jeans e gli stivali con il tacco a spillo.
Era ormai sera, presi il mio telefono dalla borsa e chiamai Jacqueline.
Attesi molti squilli finché non attaccai vedendo che non rispondeva nessuno dall'altra parte. Mi misi il cappotto, presi la borsa ed uscii dal mio ufficio.
Entrai nell'ufficio di Alexander mentre si stava mettendo la giacca: "Sto andando via." dissi. "E dove vai?" disse avvicinandosi.
Lo tirai dalla cravatta: "Tu pensa alle tue troiette." gli dissi con tono glaciale. Mentre stavo per lasciare la presa dalla sua cravatta, chiuse la porta sbattendola e mi scaraventò sopra la sua scrivania facendomi sbattere la testa.
"Alexander!" dissi mentre avevo lui sopra di me. "Si?" mi disse lui mentre scendeva con la mano verso il mio inguine.
"Togliti, se entra qualcun..." non feci in tempo a finire la frase che mi interruppe: "Dove stavi andando così di fretta." disse con freddezza.
Gli misi una mano al collo spingendolo e mi alzai finalmente: "Sei patetico." dissi uscendo dal suo ufficio sbattendo la porta.
Scesi giù fino al piano terra, uscii fuori ed entrai nella macchina del mio autista. "Ristorante di Colin." dissi. La macchina partì.
Le conversazioni in sospeso non dovevano esserci nella mia vita.
—————————————————————————RIVERA
Nel momento in cui era sotto di me sulla scrivania gli misi un cip dentro la sua borsa, monitoravo ogni suo spostamento.
Ero ben attrezzato e conoscevo gli esatti momenti giusti per poter incastrarla. Stavolta sono stato più furbo di lei.
Scesi giù al parcheggio privato ed entrai nella mia Bentley, misi in moto e sullo schermo dell'auto collegai la sua posizione.
Uscii dal parcheggio e seguii le indicazioni della sua posizione mantenendomi a distanza dalla sua auto.
————————————————————————— JANE
Feci fermare l'autista e scesi dalla macchina, entrai dentro e il locale era in piena festa, gente che ballava e che amoreggiava.
Tutti si girarono verso di me, mi avvicinai ad una cameriera: "Dov'è Colin?" chiesi fissandola. "Buonasera Signora, glielo chiamo subito." disse lei allontanandosi.
Mi accesi una sigaretta e mi girai, mi sentivo osservata. Finii la sigaretta e la spensi nel posacenere sul bancone.
Lo guardai mentre veniva verso di me, affascinante come sempre vestito total white con camicia e pantalone che lo esaltavano alla perfezione.
Si fermò davanti a me con sguardo duro: "Dimmi." disse.
Ci avvicinammo un po' verso l'ingresso in modo da non sentire troppo le vibrazioni alte che emanava la musica in tutto il locale.
"Non qui, andiamo nei corridoi dei bagni." disse lui, lo seguii, controllammo i bagni che erano fortunatamente vuoti e lui disse irritato: "Non puoi venire qui e fare i cazzi tuoi come se nulla fosse."
"Non ti ho chiesto di crescerla, non ti ho mai chiesto nulla Colin." dissi guardandolo.
"A me non importa! È mia figlia porca puttana!" disse urlandomi. "Cosa posso farci io?! È andata così!" dissi ricambiando le sue urla.
"Egoista del cazzo! Sei un egoista del cazzo!" disse dando un forte pugno al muro.
Si avvicinò a me sbattendomi in modo molto forte e violento alla parete: "Adesso che è morto il tuo porco non sai che pesci prendere?"
Gli diedi un forte schiaffo e lui rimase fermo a fissarmi. "Avrai un figlio." dissi distogliendo lo sguardo dal suo. "Si avrò un figlio, il secondo a quanto pare." disse con tono tagliente.
Mi afferrò dai fianchi incollandomi ancor di più alla parete: "Jane se tua figlia vorrà io ci sarò." disse guardandomi negli occhi.
Lo afferrai dalla camicia tirando il suo viso vicino al mio: "La ami?" chiesi guardandolo. Si tirò indietro: "Jane, buona serata." disse uscendo fuori da quei corridoi.
Rimasi poggiata a quella parete, sentii un rumore di una porta dal bagno maschile, uscii immediatamente e andai verso il bancone:
"Tequila." dissi sedendomi su uno sgabello incrociando le gambe. Bevvi e dopo circa trenta minuti andai via. Uscii all'esterno e mi incamminai verso l'auto del mio autista.
Entrai: "Vai a casa." dissi.
Accelerò e in quel momento mi squillò il telefono: "Cosa vuoi Rivera." dissi stanca. "Fox, dove sei." disse con un tono di voce strano. "Sono andata a bere qualcosa." risposi senza dare troppi dettagli e spiegazioni inutili. "Domani c'è la festa aziendale alle 19." disse lui.
"Non potevi dirmelo domani mattina?" gli dissi. "Vai a dormire." mi disse con tono freddissimo.
Attaccai la chiamata e mi passai una mano tra i capelli, la stranezza di quell'uomo era sempre più evidente.