Jane, Jane Fox. Da professoressa a ereditiera, una vita fatta di scoperte, di amori, di violenza e sesso sfrenato. La sua storia vi attende.
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Sentivo ogni parte di me bruciare, andare a fuoco, mentre mi incamminavo all'entrata di quell'ospedale a passo svelto.
Le mie guardie mi fecero strada verso la sua camera, senza dare retta alle infermiere.
Tutto attorno a me sembrava andare a rallentatore, così lento da crearmi un certo fastidio, non riuscivo a realizzare tutto questo.
Quando entrai lì, in quell'ambiente così bianco e così freddo ma ben arredato, lo vidi lì steso immobile con gli occhi chiusi.
Strinsi la maniglia della porta così tanto che sentii un piccolo track, come se la stessi rompendo. Mi avvicinai a quel letto d'ospedale.
Il suo viso così bello e spigoloso, ereditato un po' dalla madre e un po' da me, aveva delle macchie di sangue, dei residui che non gli erano stati tolti bene.
Era circondato da macchinari che emanavano continui suoni, misi la mia mano sulla sua e la strinsi mentre guardavo quel viso che per me non era mai cambiato, come se fosse sempre rimasto il mio piccolo Ryan.
Quei pensieri vennero interrotti quando mi voltai, il dottore che si stava occupando di mio figlio era in quella stanza e io ero troppo sopraffatto per rendermene conto.
"Salve, so che è suo padre, io sono il dottor Set." Feci un cenno con il capo e continuai a fissarlo.
"Suo figlio ha fatto un brutto incidente, è entrato immediatamente in coma subito dopo l'impatto, le dico subito che stiamo monitorando i parametri vitali."
"Quante possibilità ci sono che si risvegli?" chiesi. "Quando una persona entra in coma, non si sa mai come può finire." disse il dottore dandomi una pacca sulla spalla e uscì dalla stanza.
Mi voltai verso quel corpo che non mi rispondeva, gli passai una mano sulla sua guancia, così delicatamente che provai a fargli arrivare quell'amore padre figlio che non eravamo mai riusciti a dimostrarci nel corso della vita.
"Forza Ryan." sussurrai stringendogli ancora una volta la mano. Mi allontanai senza voltarmi indietro, mi faceva male vederlo in quelle condizioni e non sapere se avrei più potuto parlargli o guardarlo semplicemente camminare.
Prima di andare via, diedi il mio numero al medico, in caso di novità e andai via. Le mie guardie mi riaccompagnarono all'aeroporto dove c'era il mio jet.
Il viaggio quella notte fino a New York lo affrontai grazie al whiskey e all'hostess che mi scopai.
Tornai a casa mia in moto, nonostante maggior parte delle mie cose fossero a casa di Jane. Mi accasciai sul letto, non volevo fare altro che entrare in quel momento chiamato dormire in cui la mente si spegne e non si pensa a niente.
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JANE
Sorseggiai il mio calice di vino rosso guardando il vuoto di fronte a me. Stavano succedendo troppe cose e non amavo i cambiamenti.
Un altra storia era finita e mi ritrovai ancora una volta sola, in quella villa immensa con milioni di rancori e miliardi di ricordi.
Era così, doveva andare così e dovevo accettarlo e farmene una ragione, non dovevo per forza avere un uomo al mio fianco.
Lo amavo, amavo Alexander ma ero stanca dell' immaturità che aveva, basta tradire.
Il mio sguardo si spostò su una foto appesa al muro che raffigurava me, Jacqueline e John.
Le 3 J, i miei occhi si fecero lucidi, nonostante tutto riuscivamo sempre a restare insieme. Quei sorrisi, quella felicità nonostante le cose non andassero sempre bene.
Una morsa strinse il mio stomaco e lasciai il calice semi pieno sul tavolino di fronte al divano, poggiai la schiena allo schienale e lasciai che le lacrime una volta per tutte uscissero tutte.
Non avrei dovuto farlo, non avrei dovuto neanche pensare di poter fare una cosa del genere. Avrei dovuto rimediare in qualche altro modo.
Ogni giorno pensavo a lui, l'uomo che si era ritrovato la morte in faccia dalla donna che amava.
L'uomo che ha cresciuto una figlia che non era neanche sua, la colpa di tutti questi problemi, questi segreti di una vita, era solo mia.
Andai di sopra, mi misi il pigiama e andai a dormire con quel peso nel petto.