13 1 0
                                        


                                  GEORGE

Ero su quella terrazza di un parcheggio abbandonato, mi accesi una sigaretta e guardai la vista che offriva New York

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.


Ero su quella terrazza di un parcheggio abbandonato, mi accesi una sigaretta e guardai la vista che offriva New York.

Ad ogni tiro di sigaretta, i miei ricordi si facevano sempre più vividi della sera prima.

A casa sua, il suo sguardo che cercava di coprire quella paura, il battito cardiaco fuori controllo e la reazione al mio tocco.

All'esterno appariva una donna forte, una pantera dal fisico mozzafiato, motivo di desiderio per ogni uomo presente sul pianeta terra.

Sembrava così fredda, quello sguardo gelido che non lasciava trasparire nessuna emozione se non gelo, ghiaccio, sicurezza e determinazione.

Lo era con tutti ma tranne con una persona.
Con me, non poteva e non doveva esserlo, non sarebbe mai riuscita ad esserlo e lo sapeva.

Sapeva di non poter mai riuscire a dimenticare quel passato doloroso per lei, mi odiava e ci avrei scommesso milioni e milioni.

Chi non mi odierebbe, ero molto odiato ed invidiato in campo lavorativo.
Avevo le palle, ero e continuerò sempre a portare avanti il mio impero con determinazione.

Dopo tanti altri pensieri per la testa, uscii da quel posto marcio e schifoso ed entrai nella mia Rolls Royce, misi in moto e accelerai.

Odiavo il traffico di quella dannata città, ogni cento metri c'era un semaforo, era impossibile arrivare puntuale da qualche parte.

Il mio telefono iniziò a squillare, lo presi da dentro la tasca della mia giacca e risposi.

"Signor Clifford, sono la guardia, volevo avvisarla che è uscita con un uomo stamani, sono al Bar di Joe in centro."

"Bene, grazie." chiusi la chiamata.
Era così divertente sapere ciò che faceva.

Il Bar si trovava a qualche isolato e non ci misi molto per arrivarci, parcheggiai e con la mia maestria entrai.

L'aria di cornetti mi fece venire quasi fame, non mi guardai troppo intorno, doveva solo sapere che io ero lì, avrebbe dovuto vedermi prima lei.

Mi avvicinai al bancone: "Un caffè." dissi al barista che annuì procedendo con il mio ordine.

Mi girai, e la individuai subito, seduta con un ragazzo probabilmente dieci anni più giovane di lei ad un tavolino a chiacchierare.
Ma i suoi occhi erano su di me.

Distolse lo sguardo quando iniziai a scrutarla dalla testa ai piedi e il barista interruppe quel momento: "Il suo caffè"

Mi girai e bevvi, molto buono e cremoso e non era da tutti a New York trovare un buon caffè di qualità e soprattutto con una buona consistenza.

Adocchiai una donna seduta ad uno sgabello poco distante dal mio, niente male ma avevo altri progetti.

Pagai lasciando una buona mancia al barista e mi alzai da quello sgabello, girandomi i nostri sguardi si incrociarono.

Faceva quella forte, quella fredda ma in realtà stava morendo dentro, la conoscevo bene.
Uscii, attraversai la strada e rientrai in auto sfrecciando via.



JANE

Salutai quel ragazzo e uscii a passo svelto e sicuro quel bar, non ci avrei più messo piede lì

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.


Salutai quel ragazzo e uscii a passo svelto e sicuro quel bar, non ci avrei più messo piede lì.
Entrai in macchina in tempo mentre i paparazzi mi circondarono.

Accelerai e guidai verso l'azienda.
Quando i miei occhi si posarono su di lui, in quel bar, ho sentito il mio corpo immobilizzarsi ancora.

Il mio cuore si era fermato, il mio sangue aveva smesso di scorrere, la stessa situazione.
Doveva starmi lontano ma a quanto pare non gli importava di farlo.

Stavo rischiando di ricadere in un periodo dal quale non sarei più riuscita a rivedere la luce.
Luce che mi aveva fatto ritrovare John all'epoca quando lo conobbi.

Parcheggiai e scesi dall'auto, entrai e presi l'ascensore, ignorai ogni tipo di buongiorno o tentativo di scambiare due chiacchiere.

Mentre mi avviavo verso il mio ufficio, tirai fuori il telefono dalla borsa e chiamai Alexander.
Mentre il telefono squillava entrai e chiusi la porta e mi accesi una sigaretta.

Partì la segreteria telefonica ed attaccai, erano giorni che lo chiamavo e non mi rispondeva e tantomeno mi richiamava.

Mi sedetti, emisi un lungo sospiro e iniziai a lavorare, quel lavoro era un salvavita.
Lavorare mi aiutava tantissimo.

Mi aiutava a distrarmi, la mia mente era serena, priva di problemi, amavo quello che facevo.
Amavo il mio lavoro e il modo in cui lo facevo.

Passai la mattinata e metà del pomeriggio a rispondere a chiamate, preparare riunioni, compilare pile e pile di documenti e inviarli.

Dopo qualche altra oretta, avevo finalmente concluso, ero esausta ma mi sentivo bene.
Ero soddisfatta dell'operato dell'intera azienda e soprattutto del mio.

Mi alzai e presi la mia borsa quando qualcuno bussò alla mia porta: "Avanti." dissi perentoria.

"Signora Fox, stasera c'è un altra festa al Fox's, il direttore Maoh mi ha chiesto della sua presenza."

"Digli che ci sarò." dissi uscendo dopo di lui.
Andai verso l'ascensore e premetti i primi piani.
Non vedevo l'ora di posare il sedere sul sedile dell'auto per tornare a casa.

Uscii dall'azienda e i paparazzi mi fermarono insieme a dei giornalisti: "Signora Fox non si sposa più? Signora Fox adesso è single?"

Li guardai ignorando le loro domande a cui non avevo nemmeno io delle risposte concrete.
Non sapevo se mi sarei sposata con Alexander, gli avevo detto che era finita ma non lo era davvero.

Entra in auto e premetti l'acceleratore allontanandomi da quella zona.

Prima di tornare a casa volevo passare a casa di Rivera, capire almeno se fosse a casa o se si trovasse dall'altra parte del mondo.

Il suo atteggiamento non lo comprendevo, si l'avevo lasciato, mi aveva tradita ma non meritavo questo trattamento.

Mi fermai davanti al suo cancello e vidi le guardie parlare tramite radio, abbassai così il finestrino.
"Ricevuto signore." sentii da uno di loro.

"Apri." dissi fissandolo.
"Non mi è stato permesso, mi spiace." disse.
Mi venne da sorridere, un sorriso talmente ricco di rabbia repressa che avrei voluto spaccare completamente la mia auto solo per la soddisfazione di entrare in quel cazzo di viale.

Alzai il finestrino e feci retromarcia facendo sentire il turbo del mio motore, accelerai infuriata e voltai a destra per raggiungere casa mia.

Le guardie aprirono il grande cancello ed entrai a tutto gas, parcheggiai velocemente e scesi dall'auto.

Entrai in casa e salii al piano di sopra, mi spogliai e mi feci un bagno caldo rilassante.
Mi preparai in fretta, misi del buon profumo, mi truccai, sistemai i capelli e uscii di nuovo di casa.

Entrai nell'auto del mio autista che subito partì.

Jane...Jane FoxDove le storie prendono vita. Scoprilo ora