9 1 0
                                    

TRE MESI DOPO

JANE

Era sera, ero al Fox's da sola con un calice tra le mani, le gambe accavallate e la schiena poggiata alla sedia.

Ero intenta ad osservare, dal mio tavolo, quelle donne e quegli uomini ballare.

Avevo chiuso con mia figlia, rifiutavo ogni chiamata di Colin e ogni tentativo di vedermi ed ero sola, totalmente sola costretta a mandare avanti montagne di miliardi di dollari.

La mia popolarità aumentava di giorno in giorno, le mie guardie si erano triplicate a causa dei tanti giornalisti e paparazzi che tentavano di avere un saluto o un rapporto con me, in più rifiutavo interviste e inviti di trasmissioni televisive.

Il Fox's era l'unico locale che mi piaceva, amavo restare lì seduta da sola ad osservare.

Non parlavo con Adrian, non era di mio interesse dopo quello che mi aveva costretta a fare.

Rivera restava in azienda qualche ora e poi andava via, non parlavamo più come prima, se non per lo stretto necessario che riguardava questioni aziendali urgenti e importanti.

Ero sprofondata nella tristezza che mi portava a una maggiore freddezza, mi mancava molto una persona che non c'era più a causa mia.

Mi rendevo conto solo adesso quanto mi importasse, solo nel silenzio della sua assenza.

I sensi di colpa logoravano la mia anima, la mia essenza e peggiorava di conseguenza la mia apparenza, la mia personalità che diventava sempre più critica, fredda e autorevole.

Avevo iniziato ad andare a letto con molti uomini, più di quanto facessi prima e la mia vita e il mio essere erano mutati ancora e c'erano solo quattro parole per riassumerla: sesso, alcool, lavoro e soldi, troppi soldi che mi avevano rovinata.

Guardai l'orario del telefono che indicava le 22, entrai nella rubrica telefonica e chiamai Rivera, dovevo dargli delle cartelle che servivano per la riunione del giorno dopo, come al solito nessuna risposta. Finii di bere il calice e mi alzai.

Aggiustai la giacca del mio tailleur nero, lasciai la mancia sul tavolo ed uscii dal locale sotto gli occhi di tutti.

Ero costantemente ammirata da uomini e donne, non mi era mai dispiaciuta come cosa, potevo permettermelo.

Entrai nella mia Mercedes e misi in moto.

Accelerai e mi diressi verso casa di Alexander.

Nel tragitto fumai una sigaretta, girai davanti al cancello della sua Villa, le guardie aprirono il cancello e proseguii verso il viale.

Parcheggiai, presi le due cartelle e scesi dalla macchina.

Entrai in casa e la domestica mi raggiunse: "Il Signor Rivera arriva, si può accomodare se desidera." disse lei.

Mi sedetti e mi passai una mano tra i capelli.

Dopo qualche minuto scese dalla scalinata e posai le due cartelle sul tavolino di fronte al divano sul quale ero seduta. "Ciao." disse.

"Lì sono le cartelle, domani c'è una riunione." dissi alzandomi. "Ci sarò." disse prendendo le due cartelle.

Uscii da quella casa indifferente e raggiunsi la mia auto. "Jane." sentii urlare alle mie spalle.

Mi girai.

Rivera avanzò verso di me: "Non ho finito di parlare." disse con tono arrogante e fermo.

"Ho fretta." dissi rigirandomi verso l'auto, allungai la mano per aprire la portiera della mia auto ma mi afferrò il polso: "Dobbiamo parlare."

Tolsi la sua mano con indifferenza, lo guardai a malapena e mi avviai di nuovo verso l'ingresso.

Entrai per prima e mi sedetti di nuovo, entrò anche lui e si sedette accanto a me.

"Se ho avuto questo comportamento e questa freddezza in questi mesi è perché sono successe delle cose nella mia vita e se mia moglie fosse qui, se fosse ancora qui saprebbe cosa fare." disse distogliendo lo sguardo da me per poi ripuntare il suo sguardo, profondo e cupo, nel mio.

"Ho capito tante cose e in particolare una."

Dopo quella frase lo guardai con incertezza e titubanza, avevo capito di cosa voleva parlarmi, ero io che non volevo sentire quelle parole.

Continuai a mantenere il mio silenzio, prese la mia mano e la strinse nella sua.

"So quanto sia difficile per te, non lo mostri e non lo dici come ho fatto io per anni ma so, lo so."

Guardai la sua mano per poi guardarlo negli occhi: "Alexander io non..-" mi interruppe: "No, non dire quella cazzata." disse lui fissandomi.

"Se il destino ci ha fatto incontrare un motivo ci sarà." disse continuando.

"Non sono la donna adatta a te." dissi sfilando la mia mano dalla sua.

"Siamo fatti della stessa pasta Fox." disse freddamente per poi continuare: "Sai di cosa parlo."

Mi alzai: "Ne riparleremo un giorno." dissi uscendo e chiudendo la porta d'ingresso.

Accelerai il passo verso la mia auto e accelerai a tutto gas andando via.

Fuggii da quella verità che in fondo sapevo. Era un uomo piacente.

Piaceva alle donne, era un bell'uomo, il classico dannato ma io lo ero più di lui.

Certo mi piaceva, dire il contrario sarebbe stato sbagliato avendo avuto anche un rapporto fisico ma a quanto pare voleva qualcosa che andasse oltre al sesso.

Jane...Jane FoxDove le storie prendono vita. Scoprilo ora