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                                        JANE

Ero appena uscita da lavoro, quel giorno feci solo mezza giornata, e i paparazzi come al solito ne approfittarono per farmi altre cinquanta foto, come se non bastassero mai

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Ero appena uscita da lavoro, quel giorno feci solo mezza giornata, e i paparazzi come al solito ne approfittarono per farmi altre cinquanta foto, come se non bastassero mai.

Camminai verso la mia auto, parcheggiata accanto al marciapiede ed entrai.
Misi in moto e accelerai .

Di Rivera nessuna traccia e anche di George, non ero preoccupata, anzi, felice di restare un giorno da sola senza rotture.

Alzai il volume della radio: My Way di Frank Sinatra, amavo quella canzone da una vita.
Accelerai ancor di più al suono di quella voce così profonda, di quelle note.

Note che mi facevano viaggiare nel passato e mi permettevano di immaginare il mio futuro.
Vagai un po' per il centro e poi decisi di rientrare a casa, volevo rilassarmi con del vino.

Entrai nel cancello e parcheggiai, scesi dall'auto e mi diressi verso la porta d'ingresso: era socchiusa.

Non lasciavo mai la porta socchiusa, e poi, la domestica si occupava di chiuderla in ogni caso e questa porta socchiusa non aveva alcun senso.

Mi girai verso le guardie presenti al cancello e mi guardai intorno non notando nessun auto diversa che non fosse mia.

Niente, non rimaneva che entrare.
Afferrai la maniglia ed entrai chiudendo la porta dietro di me.

Quando lo vidi lì seduto sul mio divano, nel mio salone, nella mia villa, totalmente a suo agio, la mia schiena venne percorsa da brividi così veloci che dovetti per forza muovermi per non sussultare.

"George, cosa ci fai in casa mia?" chiesi tenendo lo sguardo fisso su di lui, il solito sguardo freddo e glaciale.

"Le sorprese una volta di piacevano." disse sfacciato come se mi importasse qualcosa.

Si alzò camminando lentamente verso di me.
Odiavo quell'atteggiamento, come se lui fosse il predatore ed io la sua preda perfetta.

Con un dito sfiorò il mio zigomo, quel tocco, quel maledetto tocco era insopportabile per me.
Riportavano a galla degli incubi.

Dei momenti che conoscevamo solo io e lui.
"Quando ti tocco, percepisco il tuo fastidio misto a terrore." disse avvicinandosi ancora.

Quando si avvicinava così tanto, il mio corpo si immobilizzava, il mio cervello non riusciva a mandare degli impulsi per reagire.

"Non è vero Jane?" disse avvicinando le sue labbra al mio lobo e sussurrò con quella voce profonda e provocatoria che lo contraddistingueva.

Era l'unico uomo che riusciva a immobilizzarmi in questo modo, era così dannatamente fastidioso, per tutto quello che mi aveva fatto.

Ero impotente, lo sentivo.
Mentre con le sue mani percorreva ogni singola parte del mio corpo sussurrava mantenendo lo stesso tono di voce: "Immagina come sarebbe stato nostro figlio..."

Jane...Jane FoxDove le storie prendono vita. Scoprilo ora