34 - Arthur - Start from Scratch

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Quasi resto sorpreso quando si appoggia a me, alla mia spalla col suo vestino infantile a fiorellini

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Quasi resto sorpreso quando si appoggia a me, alla mia spalla col suo vestino infantile a fiorellini. La sua mano preme contro il mio corpo in una specie di abbraccio. Non abbiamo fatto altro che questo oggi, cercare l'uno nell'altro qualche punto a cui aggrapparci. Mi sento su di giri e quasi mi aspetto che qualcuno ci blocchi mentre stiamo oltrepassando l'uscita del locale. Una volta in strada, di fronte alle rovine dell'anfiteatro le prendo il mento e la fisso un attimo. Lei sorride, ed è disarmante. La sua vulnerabilità è delicata, si affida a me, ogni volta, anche se fino ad ora non ho fatto che ferirla. 

<<Sei sicura che va bene?>>

La metto in guardia. E' l'unica cosa che posso fare. Ma so già che è una menzogna, che stasera non la lascerei andare. Non mi ricordo più come si respira quando non è qui. Il mio bisogno di lei è puro egoismo, lo faccio per me, per questo desiderio che mi martella da quando l'ho raggiunta, oggi, dalla madre, da quando ho visto le sue gambe correre nelle scarpe di tela vicino alle mie, anche mentre vedevo il sangue di Sebastian colare sulla strada come ipnotizzato, la mia voglia di lei era lì. Imbarazzante, cristallizzata ed eccessiva.

<<Si, Arthur. Anche se so che non ne verrà fuori niente di buono.>>

Le sorrido e ripasso il contorno del suo naso piccolo col dito della mano.

<<Piccola, pazza Lentiggini.>>

La faccio girare e intreccio le mani sul suo grembo. Il lampione bianco proietta la sua luce arancione sulla pietra nuda. Mi prendo il tempo per respirare il suo odore, per guardare ancora da vicino i suoi capelli e la forma piccola, quasi elfica delle sue orecchie. Uno come me, che è abituato a perdere gli affetti, sa che nessuno ti avverte quando staccano la corrente, ti ritrovi al buio e basta e quello che rimane è solo quello che sei riuscito ad immagazzinare. Diciamo che sto lavorando sulla mia memoria.

<<Non è rassicurante, tutto questo.>>

Dice pensierosa. E anche in questo caso più che alle sue parole è al timbro basso della sua voce che faccio caso.

<<Ti sta prendendo la sbronza triste, signorina?>>

Le mordo le labbra e vedo che inizia a respirare più velocemente. Amo sapere che la eccito, che anche io su di lei ho un po' di potere.

<<Sei evasivo.>>

La voce è infinitamente triste.

<<Non sto evitando di rispondere alle tue domande. Sono stanco, è stata una lunga giornata e non mi va di rovinare la nostra serata, di nuovo. Quindi propongo di non pensare.>>

Sussulta di nuovo e stavolta non è perché è eccitata.

<<Va bene.>>

Mi restituisce la sua voce, che ormai potrei disegnare in una moltitudine di piccole collinette, è quella piccola vibrazione al centro delle sue parole, forse, che non sarei in grado di riprodurre. Quel marchio distintivo che la rende Tess e che rende tutte le altre voci dolorosamente diverse. Mi sta parlando con la stessa finta nonchalance che ha usato al motel, ha attivato l'airbag, la sua versione di protezione.

Come faccio a raccontarti quello che non so?

<<Hey, hey vieni qui.>>

Non si vedono le stelle ad Augusta, non c'è niente di classicamente romantico. Niente di genuino, eccetto lei. Per questo me ne resto così tanto di fronte al disastro del vecchio anfiteatro, in fondo penso che ci sia molta più onestà nella distruzione.

<<Andiamo? Ho paura che la metro chiuderà da un momento all'altro.>>

Dice lei con fare pratico. Mi riscuoto immediatamente, solo l'idea che potrei dover chiedere alla sua amica Irina di accompagnarci al mio appartamento mi toglie ogni velleità. E in tutto questo mi ricordo che la mia macchina è da qualche parte. Cazzo! Domani devo fare in modo di andare a recuperarla. Come ho fatto a non pensarci fino ad ora?

Scendiamo i gradini che portano ai sotterranei. Le nostre mani sono intrecciate ma Lentiggini non è davvero qui.
Mi allontano per fare due biglietti alla macchinetta automatica.Questi affari non funzionano mai come dovrebbero. Impreco e per l'ennesima volta seleziono l'opzione che mi interessa. Mi giro continuamente per vedere se Tess resta lì, se è ancora dietro di me col suo vestitino a fiori. In questo momento si rigira un braccialetto di plastica gommosa sul braccio, se lo pizzica e non fa caso a me. Ma resta ferma e io posso guardarla. Solo questo importa. La raggiungo dopo un tempo che mi pare infinito. Inserisco il suo biglietto e la faccio passare, poi il mio. Quasi mi sorprendo che nessuno ci fermi, che la mia felicità abbia il benestare persino dello Stato. Il mondo ci lascia fare, a Tess e me.

<<Ho voglia di te.>>

Gli dico euforico mentre le porte si richiudono dietro di noi. Il vagone è deserto e non mi dispiace. Non mi sento solo se lei è con me. E le mie parole sono quello che di più vicino c'è a una preghiera. In fondo gli sto chiedendo la magia di restituirmi a me.

<<Anche io.>>

<<Non avevo dubbi, piccola sporcacciona.>>

Si appoggia al corrimano in ferro ma io la trascino seduta vicino a me. Le fermate scorrono implacabili. Come si rallenta l'orologio del mondo? Perché la felicità è una corsa sfrenata?

Vorrei essere un cameraman, essere in grado di prendere questo istante, questo preciso in cui lei si sta mangiando un'unghia e noto che il suo smalto è un po' scrostato. E' perfetto. Cazzo, credo di essere fottuto.

<<Perché sei venuto da mia madre oggi? >>

I nostri pensieri stanno viaggiando su binari completamente separati.

<<Le ultime settimane con te al lavoro, sono state infernali.>>

La frenata brusca la fa sussultare. La metro continua a fermarsi anche se non scende nessuno. In fondo anche io continuo ad amarla anche se non mi porterà da nessuna parte.

<<Sei stato piuttosto meschino con me.>>

<<Si, ma non sono una bestia. L'ho fatto perché la tua presenza mi stava logorando. Mi sei stata sempre vicino e io non potevo toccarti.>>

<<Con quella ragazza, con Erin... voi avete...>>

La frase le muore in gola, un altro strattone della metro.

<<No, era solo una finta. Volevo farti stare male come sono stato io.>>

La linea della bocca di Lentiggini è neutra.

<<Sono stata male infatti, ci sto male per tutto questo. Ma non riesco a smettere.>>

<<Lo so.>>

La bacio teneramente sperando di consolarla, di consolarci.

<<Dove dobbiamo scendere?>>

Mi chiede soffocando uno sbadiglio.

<<Mi dispiace per la ballerina, Tess. Mi dispiace tanto.>>

Le dico d'istinto. Non so neppure io da dove mi è uscito.

Ed eccola, una piccola luce in fondo ai suoi occhioni marroni. L'ho ritrovata, è tornata da me.

<<Grazie.>>


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