Jimin's pov
«Jimin, dai, non fare il bambino» fu la voce di mio fratello a rimproverarmi, facendomi piangere ancora più forte.
«Hai dieci anni ormai! Devi imparare a difenderti» continuò ad alzare il tono della voce, divenuta talmente dura e graffiante da farmi male ai timpani, ancora non totalmente sviluppati.
«No! Non voglio» mi ribellai io, cercando di liberarmi dalla sua forte presa attorno al mio piccolo e fragile polso.
«Non vorrai mica deludere papà, no?» mi spronò ancora, facendomi solo più male, stavolta però, non fisicamente.
Namjoon non mi aveva mai fatto male in realtà, era tutto ciò che avevo di più caro, mio fratello, il mio più grande amico, ma qualche volta imponeva un po' troppo il suo volere sugli altri.
«Lasciami stare...p-per favore» iniziai a supplicarlo, vedendo quasi tutto sfocato, a cause delle lacrime, che da ormai decine di minuti avevano iniziato a cadere sul mio volto dai tratti infantili.
«Jimin...non voglio farti del male, basta piangere» mi consolò poi, mollando del tutto la presa, lasciandomi finalmente andare, come preso da un raptus di bontà.
«Non voglio... non voglio....» continuai a ripetere, abbassando man mano il tono della voce, che già di per se non è mai stata molto alta, fino a sussurrare.
«Va bene, non importa, lo faremo un'altra volta... di nuovo» si arrese lui, sconfitto;
In risposta lo abbracciai forte, arrivandogli all'ombelico, a causa della differenza di statura.«Mi prometti che la prossima volta lo farai? Combattere con me intendo» mi domandò il quindicenne di nome Namjoon, nonché mio fratello maggiore.
«Non voglio combattere con Namjoon Hyung, io gli voglio bene» mi rivolsi a lui in terza persona, nemmeno io sapevo il perché, ma infondo ero solo un piccolo e fragile bambino.
«Lo so, piccolo, ma dobbiamo, devi farlo, altrimenti non sarai mai abbastanza forte. Sai che prima o poi dovrai» mi disse dolcemente, accarezzandomi i capelli castani.
Annuii debolmente col capo, anche se poco convinto, data la mia natura pacifica, non ero fatto per le cose violente, anche se obbligatorie, non lo ero e non lo sono ora, né lo sarò mai.
«Ti va se torniamo dentro casa e guardiamo un film?» mi propose lui, prendendomi per mano, e, solo dopo la mia risposta affermativa, conducendomi nel grande salone della nostra casa, per goderci un pomeriggio di film e tranquillità.
Erano passati sette lunghi anni da quel giorno, alla fine quella sorta di iniziazione alla difesa personale, non la feci mai, Namjoon decise che fosse meglio così, per fortuna: ero sempre stato troppo timido e pauroso per questo genere di cose.
Non molto era cambiato da quel lontano giorno in realtà, anzi, praticamente nulla, se non il fatto che mio fratello fosse effettivamente diventato l'alfa del branco -del quale facevo parte anche io- sostituendo nostro padre.
Amavo il mio branco, davvero, erano la mia famiglia dopotutto, ma erano le cose che facevano che ripudiavo: la criminalità, le morti.
Non ero mai stato contento della vita che facevo, mai.Per non parlare della rivalità che c'era con le altre gang di Seoul, cosa che era ancora più ansiogena per me: il fatto che mio fratello avesse più rivali di quanto volessi ammettere mi spaventava.
Da sempre era in atto una lotta con una di loro in particolare, e ne capivo i motivi, a grandi linee, ma non lo condividevo di certo.Infatti ogni volta che un membro di un altro branco criminale invadeva il territorio di quello di mio fratello, veniva ucciso: era una di quelle regole non scritte, una consuetudine alla quale non si poteva semplicemente scappare.
Come si fa ad uccidere qualcuno solo per questo? Come si fa ad uccidere qualcuno e basta?
Mio fratello diceva sempre che ero troppo dolce per tutto questo, che ero un lupo atipico, solo perché non avevo il desiderio di potere e sangue, come tutti loro, o quasi tutti: diceva sempre che ero diverso perché mi mancava l'istinto di autoconservazione, ma io non ero d'accordo.
Anche mia madre era come me, o almeno questo è quello che Namjoon mi diceva, perché no, non avevo mai conosciuto mia madre, o meglio, non me la ricordavo: quando ella morì ero talmente piccolo che se non ci fossero delle sue foto un giro per casa, non mi sarei ricordato nemmeno il suo viso.
Onestamente non avevo mai voluto far parte di tutto questo, mi era stato imposto, prima da mio padre, e poi da mio fratello.
E se all'inizio questa cosa non mi importava più di tanto, con il tempo divenne diverso, non ero più disposto a sottostare ai loro ordini, alle loro pressioni.Proprio per questo avevo sempre chiesto e cercato di rimanere a casa, mentre tutto il branco era impegnato in uno dei tanti colpi che facevano da quando ne avevo memoria.
Sentivo di dovermi davvero distaccare da tutto ciò, sul serio però; avrei voluto davvero andare via, scappare, prendere un aereo o un treno e non tornare più, ma per andare dove?
Non avevo un posto nel mondo, e stavo davvero iniziando a pensare che il mio destino fosse questo: crimini, uccisioni e ingiustizie, forse da entrambi i lati della medaglia, sia come aguzzino che come vittima.
O almeno l'avevo sempre fatto, fino a quando non incontrai la persona che mi avrebbe stravolto la vita come un uragano in piena tempesta: Min Yoongi.
Min Yoongi mi ha salvato la vita.
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𝘞𝘩𝘦𝘳𝘦 𝘥𝘰 𝘸𝘦 𝘨𝘰? || 𝘠𝘰𝘰𝘯𝘮𝘪𝘯
Fanfiction«Sai cosa si dice delle anime gemelle?» chiese, già pronto a sentire la voce dell'altro, che d'altro canto non tardò a farsi sentire: «Che si rincontrano sempre, non importa cosa accada?». «Precisamente, quindi non avere paura: noi ci ritroveremo...