Albertino Boschetti, con un piccolo manipolo di soldati che dessero ricambio ai più provati tra quelli al fronte, era partito quella mattina di buon'ora da Forlì.
Caterina gli aveva dato ordine di lasciar tornare Ottaviano solo dopo essersi fatto passare formalmente il comando delle truppe, in modo da non incappare in possibili ritorsioni degli armigeri più turbolenti.
Poco dopo la partenza di Boschetti, poi, era arrivato in città Polidoro Tiberti, tornato dalla sua missione a Roma. La Sforza lo aveva voluto incontrare all'istante e gli aveva chiesto a voce delucidazioni in merito a ciò che lui aveva già dichiarato per lettera.
"Come immaginavo." aveva commentato a denti stretti la donna, quando il suo emissario le aveva fatto presente come la loro unica speranza fosse Raffaele Sansoni Riario.
"Mi pare ben intenzionato, ma, e credo abbia ragione – aveva soggiunto Polidoro, con una certa cautela – chiede a Vostra Signoria di non lasciar ancora partire messer Cesare alla volta di Roma, perché il papa potrebbe leggerla come una pressione non necessaria."
'Ma io, in casa, non me lo voglio tenere più...' aveva pensato la Tigre, ricordandosi come anche quel giorno lei e suo figlio si fossero incrociati per caso, si fossero scambiati un paio di battute pungenti e poi si fossero allontanati, ognuno dei due sperando che la loro separazione avvenisse il prima possibile.
"Magari – aveva suggerito Tiberti, notando l'insofferenza della Contessa – potreste prima farlo partire per un viaggio presso qualche parente. Ma fossi in voi, aspetterei di avere uno straccio di promessa almeno ufficiosa in merito al suo futuro..."
La Leonessa gli aveva dato ragione, senza, però, dirgli quel che pensava davvero e poi gli aveva chiesto come stesse il Cardinale Sansoni Riario e come fosse il suo palazzo che, almeno sulla carta, era proprietà di Ottaviano.
"Un magazzino di statue e tele, mia signora." aveva risposto con un vago disgusto il soldato, che di quelle cose proprio non ne capiva l'utilità: "Con tutto il denaro che vostro cugino sta seppellendo in quella casa, voi e io, mia signora, potremmo comprarci un esercito bastevole a conquistare Venezia, Firenze e Roma tutte in un'unica campagna."
Quella costatazione aveva accompagnato Caterina per il resto della giornata e, arrivata la sera, quando aveva incontrato per caso Michele Marulli a tavola, le erano tornate in mente alcune conversazioni fatte con il suo Giovanni, quando ancora stavano imparando a conoscersi.
Il bizantino era alla rocca perché aveva aiutato il castellano con alcune carte importanti, forte della sua cultura solidissima, e si era fermato a cena solo per l'insistenza di Cesare Feo, ripromettendosi, però, di tornare al suo alloggio in città prima di notte.
Quando vide la Sforza sedersi accanto a lui, l'uomo la ossequiò con un cenno del capo e le spiegò in breve come mai lo trovava lì, ma ella non pareva interessata a quel genere di argomenti.
"Firenze è piena di opere d'arte, vero?" gli chiese, a bruciapelo, mentre cominciava a versarsi da bere.
Michele deglutì il boccone che stava mangiando e poi, la voce sottile che si faceva strada nel chiacchiericcio della sala, che a quell'ora era abbastanza affollata, annuì: "Sì, sì, mia signora. A Firenze non si può fare un passo, senza respirare l'arte."
"Anche dopo Savonarola?" chiese Caterina, ricordandosi di quanto suo marito avesse sofferto, nel leggere le notizie che arrivavano dalla sua patria, durante i tribolati mesi di dominio del domenicano.
Marulli sospirò e convenne: "Molte cose, moltissime davvero, sono andate perse per la follia di pochi... Ma molte si sono salvate e Firenze rifiorirà, fedele a se stessa, come ha sempre fatto."
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)
Historical Fiction(Troverete le prime tre parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Duca di Milano e di una delle sue amanti, Lucrezia Landriani. Dopo un'infanzia abbastanza serena trascorsa quasi per intero tra le mura del...