Capitolo 503: Iniquitatis filia

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"Ho già detto che non ho tempo di vedere nessuno!" sbottò Ludovico Sforza, battendo una delle grandi mani sul tavolo: "Tanto meno Isabella d'Aragona!"

Ermes, che era andato personalmente a chiedere allo zio se volesse accettare l'incontro con quella donna, restò impassibile, ma disse: "Credo che stiate facendo un errore, a trattarla a questo modo."

Il Moro sbuffò e poi, occhieggiando oltre al nipote, quasi a controllare che alle sue spalle non vi fosse la lamentosa vedova di Gian Galeazzo, gli fece segno di avvicinarsi.

Questi si richiuse la porta alle spalle e si avvicinò al Duca, le mani dietro la schiena, gli occhi piccoli che indagavano il profilo dello zio. Non ci voleva molto, per capire quanto fosse sconvolto.

"Guarda. Guarda!" gli disse, lanciando verso di lui, sul tavolo, alcune lettere: "Giudica tu! Dimmi tu! Io che dovrei fare secondo loro? Sono un uomo, non un polipo, ho solo due braccia e non posso occuparmi di tutti quanti!"

Ermes, con una calma che il Moro gli aveva sempre invidiato, si sedette tranquillo davanti a lui, analizzando una missiva per volta, facendo una breve espressione di comprensione man mano che ne accantonava una.

Quando finalmente le ebbe lette tutte, Ludovico esclamò: "Orfeo mi dice di prendermi in casa quel dannato Baldraccani, di trovare una condotta per Tiberti, di accettare le richieste che mia nipote fa per suo figlio! Mi chiede perfino di permettere a lei e a non so più quanti dei suoi di venire direttamente qui, a Milano, a mettere le tende e a levarle chissà quanto! E io come potrei fare tutto questo, inimicandomi il papa?!"

L'altro Sforza annuì appena, riprendendo tra le mani il messaggio con cui Ascanio Sforza metteva a parte i suoi parenti di Milano di quanto deciso da Alessandro VI, sostenendo che fosse questione di giorni, prima che la notifica 'ufficiale e piombata' arrivasse anche a Caterina.

"C'è da dire che se voi l'aiutaste, probabilmente il papa ci penserebbe due volte, prima di attaccarla militarmente." fece notare Ermes, per quanto ne fosse convinto solo in parte.

Non vedeva sua sorella da anni, quasi non ne ricordava il viso, ma in quel frangente non poteva che sentirsi legato a lei. Avevano per metà lo stesso sangue e in lei, nei suoi atteggiamenti ostinati e indipendenti, lui rivedeva tanti tratti del loro padre, della loro nonna, di tutti quei parenti così vicini eppure così sconosciuti di cui gli avevano parlato fin da piccolo.

"Tu parli e basta, non hai idea di come sia la realtà." rimbeccò il Moro, lo stomaco che veniva percorso da un crampo, mentre pensava alla sua situazione: "Il re di Francia minaccia di mettere Milano a ferro e fuoco, pur di strapparmela. E il figlio del papa è ai suoi piedi. Tra me e mia nipote, come potremmo vincere contro di loro?"

Ermes deglutì. Sapeva che il Duca aveva fondamentalmente ragione, ma pensava anche che le cose potessero aggiustarsi in modo un po' più indolore: "Scegliete una via di mezzo." gli propose: "In fondo... In medio stat virtus, no?"

Ludovico, che non aveva mai apprezzato troppo il latino, men che meno in quel momento così difficile, agitò la manona verso il nipote e concluse: "Certo, certo... Adesso lasciami solo, devo ragionare... E fai venire qui Calco. Ho bisogno di lui..."

Il nipote fece un breve inchino e, appena prima di uscire, chiese di nuovo: "Allora non la volete incontrare Isabella?"

"No." rispose all'istante il Duca: "E non si permetta nemmeno di presentarsi a palazzo. Non ho niente da dirle, perché tanto cosa chiederebbe: suo figlio. E io non glielo posso concedere. Quindi è inutile vedersi."

"Ricordatevi chi sono i suoi parenti." disse piano Ermes, appena prima di chiudersi di nuovo la porta alle spalle.

Quando arrivò Calco, lo Sforza stava ancora pensando alle ultime parole di suo nipote. Napoli poteva essere davvero una minaccia per Milano? Oltre alla Francia, a Venezia, e, probabilmente, al papa, doveva davvero temere di nuovo anche gli Aragona?

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora