Capitolo 492: La migliore educazione alle pratiche di guerra

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"Ho incontrato un paio di giorni fa Niccolò Orsini, qui a Cesena." disse Polidoro Tiberti, allungando un po' le gambe sotto al tavolo, gli occhi scentrati che indugiavano sul viso del fratello Achille: "E ha cercato di convincermi a passare dalla parte del Doge."

L'altro, che era stato molto restio all'idea di tornare in quella città, che era stata casa sua per anni, ma che ora gli pareva ostile e sconosciuta, fece un mezzo sbuffo: "Immagino che il Conte di Pitigliano avesse ottimi argomenti, per convincerti... Ma vorrei ricordarti sono io il tuo garante presso la Tigre e, se per caso dovessi davvero passare dalla parte dei veneziani, sappi che avrai un fratello di meno, perché quella donna si rifarà su di me. Ti ha anche mandato a Roma, se ti ricordi, come suo uomo di fiducia. Immagina come sarebbe contenta, di vederti sul bucintoro di Barbarigo."

Polidoro sollevò allora le mani e abbandonandosi contro lo schienale imbottito della sua sedia – un pezzo d'arredamento finissimo, come tutti quelli che si potevano trovare nel palazzo dei Tiberti – si premurò di dire: "Stai tranquillo, Achille. Non ho accettato e nemmeno intendo farlo. Però ho lasciato aperto uno spiraglio, almeno a parole."

"Perché?" chiese l'altro, accigliandosi.

Non gli piaceva, quando suo fratello cercava di fare il doppiogiochista e, quella volta, a maggior ragione, sentì un brivido lungo la schiena, già immaginandosi la reazione della Sforza. Fino a quel momento la Contessa era stata con lui sempre fin troppo comprensiva e magnanima, ma se Polidoro si fosse rivelato un traditore...

"Avrai sentito anche tu che spirano venti di pace, al nord. Dicono che presto il Duca di Ferrara verrà formalmente incaricato di fare da mediatore tra Venezia e Firenze, per sedare la guerra nata per colpa di Pisa." prese a dire Polidoro, facendosi più serio del suo solito: "Ebbene, anche gli alleati di Firenze dovranno cercare mediatori per la pace. Sappiamo tutti e due che la tua Sforza non è famosa per la sua calma. Se accettasse di usarmi come mediatore, anche il suo Stato ne gioverebbe."

"Vuoi che sia io a fare il tuo nome?" chiese Achille, che conosceva anche troppo bene il tono del fratello, per non rendersi conto di essere stato chiamato a Cesena solo per sentirsi chiedere un favore.

"Se mi vuoi bene... Abbiamo lo stesso sangue, non scordarlo." fece Polidoro, sollevando una mano e le spalle.

L'altro Tiberti si massaggiò la fronte qualche istante. Non sapeva nemmeno lui se fidarsi o meno.

"Le parlerò." concesse alla fine: "Ma non ti posso garantire nulla."

Da un paio di giorni il freddo sembrava aver allentato la sua morsa su Forlì. Caterina stava tergiversando, con Bianca: benché lei stessa le avesse proposto di passare insieme un po' di tempo nel suo laboratorio, ora che avrebbe avuto l'occasione di farlo, aveva preferito posticipare, adducendo scuse di vario genere.

Una, l'unica che la figlia aveva sentito come sincera, era proprio legata al miglioramento temporaneo del clima. La madre, infatti, le aveva detto che intendeva sfruttare quella tregua dalla neve e dal freddo per portare Galeazzo a caccia con sé.

La Riario, in effetti, sapeva anche troppo bene quanto suo fratello ci tenesse, a quei momenti e così aveva subito sorriso, dicendo alla Tigre che per lei non c'era nessun problema.

La Sforza e il figlio avevano allora lasciato la rocca di mattina presto, prima che sorgesse il sole, e si erano inoltrati nella riserva. Sarebbero tornati prima del mezzogiorno, come aveva preannunciato la Contessa, perché la donna non poteva permettersi di restare lontana dalla città troppo a lungo, in quei giorni, ma a Galeazzo andava bene anche solo qualche ora: l'importante era stare con lei.

Benché il tempo fosse migliorato, però, nel bosco le prede ancora scarseggiavano. Qualche coniglio striminzito e qualche uccello, che però tanto la Leonessa quanto il figlio preferirono lasciar scappare.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora