Capitolo 520: Ut ameris, amabilis esto.

162 16 18
                                    

La luce del sole cominciava a filtrare dalla finestra con maggiore insistenza, quando il rumore della porta che si apriva e di qualcuno che entrava svegliò di colpo Caterina.

Mentre apriva gli occhi, si ricordò che dopo aver scacciato dalla sua tana il soldato che si era scelta per quella notte, invece di tornare nella sua stanza, si era rimessa un momento sotto le lenzuola, lasciandosi cullare dal calore che restava imprigionato nel loro abbraccio soffice e si era addormentata.

Si ricordava anche molto bene del motivo per cui aveva scacciato quell'amante. Non era stato, come al solito, per evitargli di sentire i suoi lamenti dovuti ai consueti incubi, né perché volesse davvero restare da sola fino al mattino dopo. Era stata una cosa molto più istintiva.

Quel soldato aveva un corpo di una bellezza innegabile e, nel farlo suo, la Tigre aveva rivissuto in parte il desiderio folle che l'aveva attraversata quando era la donna di Giacomo e, a tratti, la selvaggia fame che l'aveva presa con Manfredi. Alla fine, però, aveva sentito distintamente il bisogno di avere accanto un uomo come il suo Giovanni.

Così, mentre il suo amante occasionale le era ancora addosso, il fiato corto e i muscoli tesi, l'aveva afferrato per i capelli, tirandogli un po' indietro la testa, per costringerlo a guardarla in viso e gli aveva chiesto: "Conosci Catullo?"

Il giovane aveva fatto un paio di respiri profondi, ancora sconvolto per l'ardore con cui la Contessa l'aveva preso, e poi, cercando di pensarci, aveva risposto, incerto: "Milita in questa rocca..?"

Allora Caterina, semplicemente, aveva fatto un sorriso spento e gli aveva detto: "Lascia perdere... E adesso vattene."

E così era rimasta sola, più di quanto volesse. Aveva fatto qualche incubo, da quel che poteva ricordare, quasi tutti su Pietro Francesco Corbizzi e su Ludovico Marcobelli, ma non si era mai risvegliata.

"Perdonatemi, mia signora..." disse una voce che le pareva di riconoscere: "Di solito a quest'ora siete già nell'altra camera..."

La Contessa, sapendo di essere nuda, si tirò le coperte fin sotto al mento, strizzando gli occhi, per inquadrare la donna che le stava parlando e che, malgrado le scuse, non accennava ad andarsene.

"Argentina, giusto?" chiese, ricostruendo finalmente dove e quando l'avesse già vista.

La serva annuì e poi, come rendendosi conto solo in quel momento della sua irriverenza, tornò verso la porta e disse: "Perdonatemi, davvero, tolgo il disturbo e passo più tardi..."

"Non è necessario." la interruppe la Tigre: "Tanto scommetto che nella bettola in cui vivevi prima avrai visto anche di peggio..."

La serva non disse nulla, ma il modo in cui aveva incurvato le labbra dava tacitamente ragione alle sua padrona.

"Anzi..." fece Caterina, alzandosi dal letto, senza più badare al fatto di essere svestita, dato che Argentina l'aveva già vista nuda quando l'aveva aiutata a farsi il bagno: "Mi tolgo subito di qui, così potete riordinare. Anzi, le lenzuola sarebbero da..."

"Le cambio tutte le volte che capisco che le avete usate, mia signora. Come avevate ordinato." si affrettò a dire la domestica.

Quell'accorgimento aveva fatto sorridere la capa della servitù, ma la Contessa era stata irremovibile. Per quanto a volte le dessero fastidio i commenti che la riguardavano, che la dipingevano come maniaca della pulizia – tanto da essere guardata da certi con sospetto per la frequenza con cui usava la tinozza da bagno o i suoi profumi – preferiva di gran lunga non portare due uomini diversi tra le stesse lenzuola. Visto che aveva il personale e la possibilità di farlo, preferiva far rinfrescare il letto ogni volta che era necessario.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora