Capitolo 527: Chi domina se stesso val più di chi conquista una città.

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La risposta del Moro in merito a Giovanni da Casale aveva inizialmente indispettito Caterina, ma in un secondo momento le aveva permesso di sperare per il meglio. In fondo quella di sua zio non era stata una lettera di diniego a tutti gli effetti, ma solo una richiesta – scritta in modo anche abbastanza gentile – di avere pazienza per qualche giorno, nell'attesa che sistemasse alcuni affari molto importanti.

Così la donna aveva cominciato a pensare a Pirovano e al suo ritorno a Forlì, lasciandosi prendere a tratti dalla smania di riaverlo e a tratti dall'ansia, dicendosi che, forse, quell'uomo non l'avrebbe voluta più.

Nel frattempo Chiara restava a Ravaldino, non le dava spiegazioni valide, ma appariva anche troppo tranquilla, per essere in fuga da qualcosa di serio.

La Contessa non voleva scacciarla, ma non faceva nulla di più che darle una fredda ospitalità, che si intiepidiva solo quando, per caso, assieme a loro c'era anche Giovannino o al massimo Bianca.

Negli ultimi giorni, comunque, non aveva avuto molto modo di stare con la sorella, perché gli affari di Stato l'avevano tenuta occupata. Uno fra tutti, il nuovo documento redatto dall'Oliva.

"Vostro figlio Ottaviano aveva già firmato prima di partire – spiegò il notaio, mostrando la firma del primogenito della Tigre in cima alle altre – perché temevo che potesse tornare in ritardo e mi avevate detto di redigere questo atto il più in fretta possibile..."

"Non c'è problema, tanto Ottaviano sapeva benissimo cosa avreste scritto, in questo documento." si sbrigò a dire Caterina: "Piuttosto, siete certo che con questo scritto, il papa non potrà più avere motivo di far del male ai miei figli per avere il mio Stato?"

L'Oliva annuì in silenzio, riguardando l'atto come a sincerarsene un'ultima volta e poi, allargando le braccia tozze esclamò: "Ho fatto ricerche giuridiche di tutti i tipi, e vi giuro che più di questo non si poteva fare! Il papa non avrà più nemmeno mezzo motivo per far del male ai vostri figli!"

Luffo Numai, seduto su uno degli sgabelli della Sala della Guerra dove erano riuniti i tre, fece schioccare la lingua, in segno di scetticismo.

"Che c'è?" domandò il notaio, quasi offeso da quell'intrusione.

"Un motivo, per far male ai figli della Contessa, il papa l'avrà sempre." fece il Consigliere, alzando le sopracciglia, come se la cosa fosse ovvia: "Il fatto che siano i suoi figli."

La Sforza capì molto prima dell'Oliva cosa intendesse dire Numai, e così lo anticipò anche nel ribattere: "Ricordate quel che ho gridato agli Orsi, undici anni fa? Ebbene, sono pronta a farlo di nuovo, se necessario."

"Lo sareste anche se gli uomini del papa dovessero minacciare di tagliare la gola al vostro Giovannino davanti ai vostri occhi?" domandò Luffo, senza intento di provocarla, ma solo per capire quanto fosse seria e quanto stesse recitando.

La Tigre cercò di pensarci davvero, di figurarsi la scena, deglutì e poi, con tutta la fermezza che le riuscì, rispose: "Sì."

"Allora siamo a posto." fece Numai, con un sorriso un po' stentato: "Anche se, per allora, vi consiglio di esercitarvi un po' con l'espressione del viso. Se fate quella faccia solo all'ipotesi che possa capitare, non vorrei vedere come sarete, quando succederà davvero."

"Per allora – ribatté la donna, piccata – farò in modo di trovare un posto sicuro per i miei figli. Li nasconderò tanto bene che il papa si stancherà di cercarli."

"Sarà meglio – convenne il Consigliere, con un che di critico nella voce – perché di certo li ammazzerebbero, e di madonna Bianca non voglio nemmeno pensare cosa ne faranno..."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora