Capitolo 576: Da sola

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Finalmente la sera era scesa su quella prima fase di accerchiamento di Alessandria. Gian Giacomo da Trivulzio si stava tergendo il volto sudato con un panno e si stava avvicinando alla mappa stesa sul tavolo.

Era una riproduzione abbastanza fedele della città e l'uomo confidava nel fatto che una buona pianificazione dei prossimi attacchi sarebbe stata la chiave per far cadere quel penultimo baluardo milanese nel giro di pochi giorni.

"Ecco, se la prossima scarica di artiglieria la riserviamo per questa porta..." stava dicendo Troilo, al suo fianco, in presenza di appena un paio di annoiati comandanti francesi: "Li porteremo a dividersi ai due poli opposti della città e quindi..."

La voce dell'emiliano venne tacitata all'istante da grida scomposte che arrivavano dall'accampamento.

"Che succede?!" chiese subito il Trivulzio, smettendo di passarsi lo straccio in viso e correndo verso l'uscita del padiglione.

Il sole era calato da nemmeno un'ora, ma la scarsità della luna, a tratti coperta da qualche nuvola, rendeva difficile vedere cosa stesse capitando.

"Cavalleggeri!" gridò un soldato, correndo incontro al comandante generale: "Una sortita degli alessandrini! Cavalleggeri!"

Gian Giacomo tutto si era aspettato tranne una reazione di quel genere, per di più a quell'ora, dopo che per oltre metà giornata, nell'afa torrida d'agosto, i nemici non avevano fatto altro che cercare di respingerli dalle mura.

"Ci penso io. Se ne ho il permesso." si offrì all'istante Troilo, che, pur non avendo brama di mettersi in mostra, voleva comunque dimostrarsi un valido appoggio per l'amico.

Il Trivulzio, ancora un po' stordito per quell'inattesa notizia, annuì appena e soggiunse: "Ricacciali indietro, ma non inseguirli. Non siamo ancora pronti, per penetrare in città."

Il Rossi gli dedicò un cenno di intesa e poi, dirigendosi verso il proprio padiglione, per andare a infilare almeno l'elmo e la corazzina, cominciò a vociare ai soldati gridando: "Cavalleria! Pronti tra dieci minuti! Cavalleria a raccolta!"

Caterina aveva vagato come un'anima in pena per i prati di Cassirano, senza preoccuparsi del fatto che, così facendo, stava quasi lambendo il confine con Faenza. Scottata dal sole incandescente che brillava nel cielo lattiginoso di quel pomeriggio, sarebbe anche stata pronta a morire per un colpo di balestra. Provava un distacco così forte dalla realtà, che nulla le sembrava peggiore del destino a cui era stata condannata.

Poteva quasi rivedere il suo Giacomo che si annoiava, che se ne stava in disparte, quel pomeriggio di quattro anni addietro. Lui non c'era mai voluto andare e lei avrebbe dovuto ascoltarlo fin dal principio. Era come se quel ragazzo di ventiquattro anni per cui lei sarebbe stata pronta a dare tutto, perfino la vita, se lo sentisse che se fosse andato a quella battuta di caccia non ne sarebbe tornato vivo.

Ricordava ancora l'ultimo bacio che gli aveva dato. Veloce, discreto, di nascosto dagli occhi curiosi degli altri. Poteva ancora sentire il calore delle sue labbra e rivedere il castano un po' banale delle sue iridi, che però, nei suoi occhi, sembrava il colore più bello del mondo.

Si erano amati per sette anni, malgrado tutto e contro tutti, con momenti di forti incomprensioni, con litigi anche feroci, ma ritrovandosi sempre. Per quanto Caterina avesse conosciuto uomini decisamente migliori del Barone Feo, non l'avrebbe scambiato con nessuno al mondo.

Quando aveva cominciato a scendere la sera, la donna si era ritrovata immersa nei ricordi più vecchi, lasciando in pace il corpo martoriato del suo grande amore, e rivedendolo diciassettenne, bellissimo, perfetto e ancora innocente. Non poteva non ricordarsi come lei, per lui, fosse stata la prima e unica donna. Nessun'altra l'aveva mai avuto, a parte lei, e non era una cosa da poco.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora