Capitolo 505: Molti dicendo cose giuste fanno cose ingiuste.

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Andato via Manfredi, la Sforza aveva lasciato anche lei la tana e si era trasferita nella sua stanza ufficiale. Ci aveva messo un po' a prendere sonno, ma, quando c'era riuscita, non si era risvegliata all'ora in cui aveva sperato di alzarsi.

L'unica pecca di quel risvegliò era stato il motivo: un terribile incubo che le aveva tolto il fiato e l'aveva sorpresa, quando, nell'aprire gli occhi, non era trovata con le mani coperte di sangue come nel sogno.

Mancava ancora un po' all'alba, e così se l'era presa comoda. Si era vestita con attenzione, scegliendo abiti caldi e comodi. Nel cercare nella cassapanca si era resa conto di avere pochi vestiti in ordine. Negli anni, un po' per mancanza di occasioni, un po' per non spendere soldi e un po' per partito preso, non si era mai fatta confezionare nulla di nuovo e come risultato si trovava con un guardaroba degno di una dama di compagnia di infimo rango, se non della moglie di un luogotenente, e non di una Contessa.

Infilati gli stivali da caccia, aveva lasciato la sua camera, era andata nella sala delle armi e, senza indugio, aveva preso arco e frecce, una spada e la lancia da cinghiale che le aveva regalato Giovanni.

Preparò da sola il suo stallone, sistemando con cura le armi, e poi, dopo aver fatto sapere al castellano che sarebbe tornata entro il primo pomeriggio, nella nebbiolina rada che precedeva il sorgere del sole, uscì da Ravaldino, diretta alla sua riserva di caccia.

Cavalcò a lungo, godendosi l'aria ancora fredda che le sferzava il viso. Marzo stava finendo, ma l'odore del bosco le pareva ancora più invernale che non primaverile.

Affiancò la casina, tentata di entrare per riposare un po', ma poi si trattenne, restando a cavallo, e raggiunse uno dei punti del bosco in cui più facilmente trovava buone prede.

Legò il suo purosangue in un punto riparato, e poi, portando con sé la lancia e l'arco, si appostò.

Lasciò andare la piccola cacciagione: un paio di lepri, qualche coniglio, perfino un cinghialotto solitario che, dopo una vaghissimo momento di incertezza, era scappato.

La vera occasione le si presentò quando vide una daina. Camminava lenta, placida, il naso umido che saggiava l'aria fragrante, le zampe che affondavano nella terra un po' ammorbidita dall'umidità.

La Sforza trattenne il fiato. La bestia non si era minimamente accorta di lei. Aveva scelto una posizione ideale, controvento, e il cespuglio dietro cui si era accucciata era abbastanza folto da coprirla in modo pressoché perfetto.

Incoccò una freccia, badando bene a non far troppo rumore con la corda dell'arco, e poi fissò con attenzione l'animale, sapendo che nel momento stesso in cui sarebbe uscita allo scoperto avrebbe avuto appena il tempo di un respiro, per scoccare e colpire la sua preda.

Tuttavia, mentre l'osservava, notò il ventre rigonfio e teso. Si rese conto che la daina era incinta e che non le doveva mancare poi molto al parto. Da brava cacciatrice, Caterina sapeva che mancavano minimo un paio di mesi, alla nascita dei cuccioli, ma sarebbe stata pronta a scommettere che quella bestia avrebbe figliato un po' prima.

Tenne ancora per qualche istante le dita strette attorno alla cocca della freccia, ma poi abbandonò l'idea e, deliberatamente, mosse qualche ramo del cespuglio, spaventando la daina e lasciandola scappare.

Quell'episodio la rese pensierosa e dovette girare per un bel pezzo in mezzo alle piante, prima di riuscire a tornare calma. Alla fine, ricordandosi della mezza promessa fatta a Bianca, si rimise in cerca di qualche animale degno della sua attenzione.

Trovò molto più facile puntare l'arco contro un grosso cervo, le cui corna mostravano come nel pieno della giovinezza. Era un esemplare magnifico, muscoloso e forte. La Tigre fu felice di essere riuscita a ucciderlo con un unico, subitaneo dardo che gli si conficcò nel collo. Era il suo modo di mostrargli il suo rispetto, non farlo soffrire inutilmente. Il suo modo per ringraziarlo per la sua bellezza e per la succulenza delle sue carni.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora