Capitolo 638: Bisogna spegnere l'eccesso, più che l'incendio.

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Cesare aveva chiesto a Michelotto di raggiungerlo il prima possibile nel suo padiglione. Non aveva davvero bisogno della sua presenza, ma stava aspettando un uomo che non conosceva e, non sapendo fino a che punto si sarebbe spinta l'inventiva dei suoi nemici, il timore di trovarsi davanti un sicario non lo faceva stare tranquillo.

Avere il suo amico a coprirgli le spalle, gli sembrava il minimo. Non poteva nemmeno fidarsi delle guardie che stavano vicino all'ingresso del tendone. Quel giorno – ma non era stata la prima avvisaglia – aveva capito che l'esercito a cui pensava di essere a capo non gli voleva obbedire. I soldati non lo riconoscevano come capo, malgrado avesse fatto quel che gli era stato consigliato, ovvero vivere in mezzo a loro, mangiare il loro medesimo rancio e, perfino, patire il freddo come loro in mezzo al campo, invece di requisire un bel palazzo signorile.

E loro come lo avevano ripagato? Lasciando inascoltati i suoi ordini, sbeffeggiandolo abbastanza apertamente quando lo incontravano, e perfino ridendo di lui dopo avergli indirizzato delle battutacce nelle loro lingue.

Il Borja sapeva bene che una truppa così indisciplinata poteva essere rimessa in riga solo in due modi: o con la paura o con il denaro. Per la prima non si sentiva ancora pronto, mentre per la seconda stava aspettando notizie da un suo cugino Cardinale, che avrebbe dovuto portargli a breve una grossa somma da distribuire agli uomini per recuperare il loro favore, ma che per il momento era arrivato appena a Cesena.

Il Valentino batté per qualche minuto la punta delle dita contro il tavolino da campo dietro cui si era seduto. Ormai era sera, stava venendo tardi, e non capiva cosa stesse trattenendo Miguel. Anzi, cominciava a credere che il suo ritardo fosse un segnale da non sottovalutare.

Si alzò, grattandosi una delle croste che gli coprivano la guancia e andò verso l'uscita del padiglione. Forse si trattava di una grande trappola e non voleva farsi trovare lì. Però, appena aprì la tenda che lo separava dal gelo di quella notte, proprio Michelotto si profilò a qualche passo dalla tenda.

"Che fine avevi fatto?" gli chiese Cesare, facendogli segno di entrare.

L'altro, non ribattendo al tono perentorio dell'amico, si strinse un po' nelle larghe spalle coperte da un mantello umido di pioggerella e poi disse: "Ho preso informazioni sul falegname che sta venendo qui." spiegò: "Dicono sia un uomo semplice, ma affidabile. Ha bisogno di soldi."

Il Duca di Valentinois annuì. Un uomo che necessitava denaro era sempre un ottimo affare, quando si cercava un delatore.

I due stavano per approfondire il discorso, quando una delle guardie mise dentro la testa per annunciare che la persona che stavano aspettando era arrivata.

"Mettiti in quell'angolo." disse il Borja a Miguel de Corella, indicando il punto più buio del padiglione: "Non fiatare e non intervenire a meno che non sia strettamente necessario."

Mentre Michelotto raggiungeva la sua postazione in penombra, Cesare raddrizzò la schiena e accolse il falegname a braccia spalancate.

L'imolese, visibilmente intimidito dall'essere al cospetto di quello che tutti conoscevano come 'il figlio del papa', chinò il capo, togliendosi la berretta e, indeciso se buttarsi a terra in ginocchio o no, chinò vistosamente il capo e dichiarò: "Servo vostro, mio signore."

Il Borja fece un cenno veloce con la mano, permettendogli di rimettersi dritto e poi gli chiese, senza preamboli: "Che cosa avete da dirmi?"

L'uomo tentennò per qualche istante, apparendo quasi pentito di essere lì. Guardava di sottecchi il generale dei francesi e poi, intimorito, riabbassava lo sguardo e passava il peso da un piede all'altro.

Il Valentino non aveva alcuna voglia di perdere altro tempo con lui, perciò, tralasciando i modi concilianti, gli disse, aggressivo: "Se non avete nulla di interessante da dirmi, vi farò prendere dalle mie guardie e..."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora