Gian Giacomo da Trivulzio stringeva gli occhi verso il sole che stava nascendo. Quel 15 luglio si preannunciava per lui come il giorno fatale. Si decideva la sua fortuna o la sua disgrazia.
Forse era solo una superstizione da soldataglia, ma l'esito del primo attacco era fondamentale per capire come sarebbe andata l'intera campagna.
Con un sospiro tremulo, nell'aria immobile di quell'estate feroce, il comandante supremo – così lo chiamavano – dell'esercito francese si infilò l'elmo. I suoi quasi quindicimila uomini aspettavano solo un suo cenno.
Chiuse un istante gli occhi, cercando di non pensare a Solero e Quargnento, i due paesi che si stagliavano all'orizzonte, placidi, come prede consenzienti e consapevoli.
Ripensò alle giornate confuse che avevano portato a quel momento. Ripensò a quanto aveva dovuto essere duro e inflessibile con i soldati francesi che comandava e che sembravano estranei alle leggi non scritte dell'onore e dell'ordine.
Ripensò anche ai litigi con Don Giuliano di Ligny, che, invece, sembrava divertirsi nel vedere i suoi uomini così selvaggi e brutali con gli abitanti dei posti in cui avevano stazionato lungo la loro avanzata. Quel francese, in fondo, ancora si vantava dello scempio fatto qualche anno prima in Romagna, in un paesino chiamato Mordano, di cui, a sua detta, aveva lasciato poco più che le ceneri delle case e le ossa spezzate della gente. Era una cosa di cui poteva vantarsi solo un mostro. A volte era necessario, lasciare che la truppa si sfogasse, ma quella volta era stata una bruttura del tutto fine a se stessa e il Trivulzio non poteva condividerla.
Con un respiro fondo, guardò un momento verso Troilo, che stava al suo fianco e fece un breve cenno con il capo. Si abbassò la celata, così come fece anche il Rossi, e poi alzando la mano, diede silenziosamente ordine di mettersi in marcia.
Passarono il confine del Ducato di Milano quasi senza accorgersene e, non appena impattarono con Solero, e poi con Quargnento, videro le difese – scarse e apparentemente improvvisate – dei milanese cadere senza sforzo. Nel giro di una manciata d'ore, i due paesi furono dichiarati francesi e, per una volta, Gian Giacomo da Trivulzio preferì non mettersi contro i suoi uomini che, esaltati da quella vittoria rapida e facile, si erano messi a infierire sui pochi superstiti, straziando gli uomini e usando violenza alle donne.
"Perché permetti questo schifo?" chiese Troilo, avvicinandosi all'amico, mentre davanti ai loro occhi un paio di francesi portavano a braccia una ragazza urlante e disperata verso un granaio.
"Perché voglio vincerla, questa guerra." rispose Gian Giacomo, mostrando il volto duro che riservava solo alle questioni talmente serie da non permettere nemmeno l'ombra di un sorriso: "E seminare il panico nella popolazione è il primo passo."
Il Rossi deglutì un paio di volte. Era sporco di sangue e aveva ammaccato la sua armatura. Era stanco e aveva sete, ma tutto perdeva importanza, davanti a quello che i suoi occhi continuavano a vedere.
"Non erano questi, i patti." sussurrò, rivolgendosi al Trivulzio con un tono quasi minaccioso.
"Non c'erano patti, tra noi. Ti ho dato la possibilità di seguirmi in questa guerra e tu hai accettato e lo hai fatto perché sai che puoi guadagnarci." lo riprese il più vecchio, dandogli un colpo sulla spalla con la mano guantata di ferro: "O stai alle mie regole e rispetti le mie decisioni, o puoi anche andartene e chiedere a qualcuno di darti un esercito da guidare a modo tuo."
Troilo lanciò un'ultima occhiata ai francesi che continuavano, come un brulicare di formiche, a spartirsi le loro vittime e a ridere e gridare come fossero all'osteria e concluse: "Va bene, ma sappi che tutto questo mi dà il voltastomaco."
"Se vuoi andare a vomitare, lì c'è uno scudiero che lo sta già facendo..." disse Gian Giacomo, tornando a lasciar trasparire una certa ilarità: "Sempre che un uomo di quasi quarant'anni non si faccia problemi a farsi vedere vomitare accanto a un ragazzo di dieci."
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)
Tiểu thuyết Lịch sử(Troverete le prime tre parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Duca di Milano e di una delle sue amanti, Lucrezia Landriani. Dopo un'infanzia abbastanza serena trascorsa quasi per intero tra le mura del...