La palla di cannone partita dalla rocca di Ravaldino era atterrata, con grande fragore, nell'orto della chiesa di San Francesco, dove un ignaro frate stava facendo due passi per stemperare l'ansia di quelle ore concitate. L'uomo quasi non capì quello che era successo, ma, mentre ruzzolava al suolo, scosso dal tremito del terreno dovuto all'atterraggio del proiettile, capì subito di essere stato un miracolato.
Il panico che quel colpo creò fu immediato. Tuttavia la piccola folla radunata in piazza non ebbe né il tempo né la prontezza di disperdersi, e, quando arrivarono altri colpi, stavolta diretti alla Torre del Pubblico, i forlivesi erano ancora lì a vedere quel simbolo cittadino – su cui ancora stavano i resti delle teste mozzate dei congiurati uccisi dalla Sforza – messo a repentaglio.
"Non temete! Non temete!" il grido di Nicolò Tornielli e dell'altro che era stato con lui alla rocca attirò l'attenzione dei presenti, tra un boato a l'altro.
In molti, nel vederli arrivare sani e salvi, dopo averli creduti già morti tra le grinfie della Tigre, si abbandonarono a esclamazioni di giubilo, dimenticando, perfino, i colpi di cannone.
"Non temete!" ribadì Tornielli: "Questo non è per noi! Ma per far capire ai nemici che l'abbandono della città non ha mutata né intimidita Madonna! E che essa è più ardita e più risoluta di prima!"
Quasi a dar ragione all'ex Capo dei Magistrati, dopo appena altri due colpi, l'artiglieria smise di far fuoco.
"Ma come fate a dire che la Contessa non vuol colpire noi?!" gridò uno, tra la folla, puntando il dito contro Nicolò.
In molti gli fecero eco, mentre il cielo scuro della notte, non più solcato dai proiettili di pietra della Sforza, si faceva di nuovo buio e tranquillo.
"Perché Madonna conosce meglio di noi tutti come far andare un cannone! E se avesse voluto ammazzarvi, vi giuro che l'avrebbe fatto!" sbraitò Tornielli: "Invece ha colpito dove non poteva nuocere! Per dare un messaggio ai francesi e a noi!"
Ci volle qualche secondo, ma, poi, le parole del forlivese parvero fare breccia nell'animo dei suoi concittadini e, in breve, tutti furono d'accordo con lui e vinsero ogni timore.
"Ebbene – prese in mano la situazione Numai, che moriva dalla voglia di poter discutere in santa pace con Tornielli di quello che lui e la Leonessa si erano detti – ora chiedo al Consiglio dei Venti e agli Anziani di seguirmi a palazzo, ché dobbiamo discutere i capitoli della resa."
"Insomma, se non si hanno notizie della loro partenza, significa che i suoi figli sono ancora con lei." stava dicendo Cesare, aggirandosi nervoso nel suo padiglione: "E dubito fortemente che li farà andare via adesso, che il nostro esercito è alle porte della sua città."
Onorio Savelli si disse d'accordo e, anzi, rincarò: "Sicuramente è per quello che ha fatto sparare i cannoni sulla città. Mi ci gioco la testa che il nuovo governo ha minacciato di prenderle i figli!"
Giampaolo Baglioni, invece, non diceva nulla. Gli sembrava assurdo essere ancora tutti in piedi attorno a un tavolo a discutere delle decisioni imponderabili di una donna. Capiva le ansie del Borja, che aveva avuto ordine da suo padre di uccidere non solo la Sforza, ma anche tutti i di lei figli, per evitare di incappare, un giorno, in una vendetta. Però, da lì ad attribuire a ogni mossa della Contessa una valenza precisa, ne passava...
"Dobbiamo attaccare immediatamente Ravaldino!" la voce di Achille Tiberti fece girare tutti di scatto.
Il mercenario era entrato all'improvviso, camminando svelto, con gli occhi sgranati a una furia addosso che lo faceva quasi tremare. Il Valentino gli dedico un lungo sguardo interrogativo e così il cesenate fu costretto a calmarsi e a spiegarsi come meglio poteva, per non passare per pazzo.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)
Historical Fiction(Troverete le prime tre parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Duca di Milano e di una delle sue amanti, Lucrezia Landriani. Dopo un'infanzia abbastanza serena trascorsa quasi per intero tra le mura del...