Capitolo 594: ...et lassata viris necdum satiata recessit

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Alessandro Sforza batteva in modo ritmico il tacco dello stivale in terra. Gli piaceva poco la locanda in cui aveva deciso di tenere quell'incontro, ma era l'unico posto che ritenesse davvero sicuro.

Conosceva l'oste e la strada era molto tranquilla. Da quando i francesi erano entrati a Milano, sembrava che nessuno più volesse fare quel tragitto.

Erano stati vaghi, nel darsi quell'appuntamento, ma il trentaquattrenne non vedeva l'ora che l'altro arrivasse. Ci aveva ragionato molto, ed era giunto alla conclusione di provare a contattare quel suo fratellastro solo da poco.

Accompagnare suo zio Ludovico, in fuga, verso Innsbruck gli aveva fatto capire che quello, per lui, non era più un compromesso accettabile. Era uno Sforza a tutti gli effetti e, benché avesse vissuto nell'ombra buona parte della sua vita, arrivando a mettersi a disposizione del Moro nella speranza di riavere una grande Milano di cui vantarsi, sentiva il sangue di suo padre e di suo nonno ribollire nelle vene e dunque non poteva accettare una resa come quella.

In tutta Italia, ormai, si parlava dei preparativi che la Tigre di Forlì stava mettendo a punto per resistere a un'eventuale – o, meglio, a una certa invasione francese – e Alessandro sentiva che fosse quello il suo posto.

Tuttavia, aveva ben poco da offrire e con sua sorella non aveva contatti da anni. Era abbastanza certo che nemmeno Galeazzo, fratello loro per parte di padre e figlio di Lucia Marliani, avesse mai più avuto a che fare con Caterina, ma si era convinto che se si fossero offerti in due, la Leonessa sarebbe stata più incline ad accettarli.

Finalmente Alessandro intravide qualcuno che poteva essere colui che cercava. Alto, dall'aspetto vagamente familiare, un giovane era appena entrato nell'osteria, accompagnato da un paio di uomini armati.

Abbastanza sicuro che si trattasse del Contino di Melzo, lo Sforza alzò una mano, per farsi notare e così il ventitreenne fece un cenno ai suoi di aspettare in disparte e si avvicinò al tavolo d'angolo del fratellastro.

"Alessandro?" chiese quello più giovane, con una leggera apprensione.

"Galeazzo?" rispose l'altro, con un sorriso, come a dire che non si stavano sbagliando.

Se il figlio di Lucia Marliani aveva un tratto molto più dolce, nel viso, rispetto al maggiore, Alessandro poteva scorgere comunque in lui una spiccata somiglianza con il loro padre. Anche se non ricordava molto il Duca, essendo morto quando lui era appena un ragazzino, osservare il profilo del fratellastro gli stava dando una piacevole, per quanto triste, stretta al cuore.

Di contro, Galeazzo, che del padre non servava assolutamente alcun ricordo, essendo nato dopo il suo assassinio, si sforzò di riconoscere nell'altro Sforza qualche tratto di se stesso, in modo da ricollegarlo meglio al proprio sangue.

"Hai capito perché ti ho chiamato qui?" domandò Alessandro, passando subito al tu, nel tentativo di instaurare fin da subito un rapporto amichevole, che andasse almeno in parte a supplire il silenzio di tutti quegli anni.

"Immagino sia per quello che sta facendo nostra sorella." rispose prontamente il Contino di Melzo, che, malgrado l'isolamento forzato a cui era stato costretto fin dalla nascita, era sempre riuscito a tenersi informato su ciò che succedeva ai suoi consanguinei.

"Sì, è proprio di quello che ti voglio parlare. Siediti." lo invitò, battendo la mano sulla panca accanto a sé.

"Vuoi chiederle di poter combattere per lei?" si informò il giovane, sedendosi rigidamente al suo fianco.

"Vedo che ci capiamo." annuì Alessandro: "Il punto è: tu saresti disposto a venire con me a Forlì?"

Il contino di Melzo deglutì e poi, occhieggiando verso le due guardie che lo aspettavano all'ingresso, ribatté: "Chi va a Forlì per questa guerra, non ne torna."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora