C608:...e parve a me ch'ella menasse seco Dolore e Ira per sua compagnia.

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"Dovrebbe arrivare tra poco." disse Bianca, tornando a sedersi sul divanetto imbottito davanti alla madre.

Caterina aveva scelto di incontrare Ottaviano nella sala delle letture solo perché lo studiolo del castellano, da quando era diventato il regno di Bernardino da Cremona, non le sembrava più accogliente e riparato come un tempo.

"Bene." soffiò la Tigre, abbandonandosi contro lo schienale morbido della poltrona: "Cosa stava facendo?"

"Nulla." rispose la Riario, mettendo un segnalibro di cuoio in mezzo al volume che stava leggendo prima che la madre le chiedesse di andare a cercare il fratello: "Era nella sua camera, steso sul letto, in brachette e camicia a guardare il soffitto."

La Sforza strinse i denti. L'immagine della nullafacenza, ecco cos'era il suo primogenito, esattamente com'era stato Girolamo per buona parte della sua infima vita.

"Tempo di vestirsi, e sarà qui." riprese la ragazza, quasi a voler stemperare la rabbia che sentiva covare sotto lo sguardo distante della madre.

Era il 30 ottobre e quella sera, come da concessione della Leonessa, ci sarebbe stato un piccolo ricevimento alla rocca. Sarebbe stato aperto solo ai soldati di stanza lì e alla servitù. Le dame probabilmente sarebbe state poche, rispetto ai cavalieri, ma quando sarebbe giunto il momento di danzare, quello squilibrio sarebbe diventato di certo un pregio, una garanzia di riuscita della festa: nessuna donna sarebbe rimasta senza cavaliere.

Diciotto anni era un'età importante e Caterina era felice di pensare che, pur con alterne vicende, sua figlia vi fosse arrivata tutto sommato ancora libera. Se ripensava ai suoi, di diciotto anni, la prima cosa che le tornava in mente era il pancione dove proprio sua figlia sgomitava per nascere...

"E il cervo che ho catturato per stasera..?" chiese la Contessa, lasciandosi trascinare dai propri ragionamenti.

Bianca era rimasta esterrefatta nel vedere la stazza della bestia che sua madre era riuscita ad abbattere e quando l'aveva fatta vedere alla cuoca, anche lei aveva solo potuto battere le mani ed esclamare: "Con tutto questo ben di Dio ci sfamiamo letteralmente l'esercito!"

"Già sul fuoco." assicurò la Riario, sorridendo: "Ne uscirà uno stufato tenerissimo, ne sono sicura."

"Mi fa piacere." si sforzò di sorridere la donna: "Compi diciotto anni, non è un'età qualunque."

Seguì un lungo momento di silenzio da parte di entrambe. Tutte e due sapevano che a quell'età molte delle coetanee di Bianca erano già mogli e madre e, anche se lei sulla carta era la sposa di Astorre Manfredi, di fatto era libera dai vincoli da cui le altre erano intrappolate da anni.

Parallelamente a quello, alla Tigre frullò per la mente un altro fatto e, senza volerlo, espresse a voce alta quello che di norma avrebbe tenuto solo per sé: "Oggi Livio avrebbe compito quindici anni..."

"Lo so." fece piano Bianca, rabbuiandosi all'istante.

Caterina non avrebbe voluto per nessun motivo al momento rattristare sua figlia, specie quel giorno, ma pensare a quel figlio che aveva dovuto veder morire bambino, sentendolo perdere la vita poco a poco, respiro dopo respiro, mentre la stringeva a sé pieno di paura e dolore...

Non aveva fatto in tempo a far capire agli altri chi sarebbe potuto diventare. Magari, pensava la Sforza, a quindici anni avrebbe cominciato a guardare le ragazze, a essere bravo con la spada, oppure, per colpa della sua salute da sempre cagionevole, si sarebbe dedicato più che altro agli studi.

E invece non era riuscito a fare nulla.

Scuotendo il capo, la Contessa deglutì e disse, ricordando la distanza che c'era stata tra loro e che lei non era mai riuscita – o non aveva mai voluto provare – a colmare: "Non sono mai stata una buona madre, per lui."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora