Capitolo 554: ...e con parole e con gesti.

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Niccolò stava rimuginando sulla lettera di Biagio Bonaccorsi, che gli era stata recapitata giusto quella mattina.

Era arrivata con un ritardo notevole e Machiavelli si trovò a pensare che, in fondo, nemmeno le missive ufficiali della Signoria godevano di maggior rapidità nella consegna e che, quindi, il suo amico non avrebbe dovuto adirarsi, nel sapere quanto tempo c'era voluto per far giungere il suo messaggio a destinazione.

Mentre entrava al palazzo dei Riario, andando ormai in automatico alla sala in cui la Tigre lo stava aspettando, il fiorentino trattenne un sorriso trionfale. Biagio gli chiedeva un disegno della Sforza, per vedere se era davvero tanto bella, ma ormai non c'era più tempo per chiedere alla collerica Contessa una simile grazia. Quel giorno, Niccolò ne era più che certo, avrebbero concluso il loro accordo e lui sarebbe potuto ripartire. Magari addirittura prima di sera si sarebbe già trovato sulla via per Firenze, se la fortuna lo avesse assistito.

Giunto alla porta, chiusa, Machiavelli fece un profondo sospiro. Si passò una mano sui capelli, che aveva disperatamente cercato di sistemare al meglio e poi si diede un paio di colpetti sul bordo del giubbetto, per togliere qualche piega e la polvere della strada.

Schiarendosi la voce, aprì, senza annunciarsi. In un posto normale, si era detto, ci sarebbe stato un cerimoniere o almeno una guardia a fargli strada e annunciarlo alla Sforza, ma Forlì non era una corte normale e quindi ci si doveva adeguare.

"Contessa." salutò, trovandosi subito davanti la Leonessa.

Questa ricambiò il saluto con un cenno del capo. Era vestita, come sempre, in modo molto semplice, quasi senza gioielli addosso, e, come ogni volta in cui Machiavelli si era trovato al suo cospetto, aveva sul volto un'espressione impossibile da decifrare, quasi indossasse una maschera impenetrabile.

"Lasciatemi dire che sono felicissimo di sapere che alla fine avete messo giudizio e avete accettato la generosa proposta di Firenze." cominciò a dire Niccolò, armeggiando con la custodia per documenti che portava sotto al braccio: "Dove posso appoggiarmi, per farvi firmare l'accordo..?"

La domanda era scaturita da un'improvvisa consapevolezza del fiorentino che, nel guardarsi attorno, si era reso conto dell'assenza di tavoli o piani d'appoggio qualsiasi. Quel salone, eccezion fatta per un paio di scranni, la si poteva dire completamente vuota.

"Avete molta fretta, vedo." disse piano Caterina, guardandolo di sottinsu.

Anche se era chiaro quanto l'ambasciatore si fosse impegnato per apparirle al meglio – addirittura il suo ciuffo indomabile aveva assunto una forma abbastanza definita, forse merito di un pettine robusto e una gran dose di pazienza – alla donna quel diplomatico sembrava sempre e solo un piccolo roditore intento a cercare un buco in un sacco di grano per mangiare a sbafo.

"Dato che siamo già in accordo, non vedo perché perdere tempo in chiacchiere..." sorrise mellifluo Niccolò, restando sempre con i suoi documenti a mezz'aria, in attesa che gli venisse indicato un punto in cui posarli.

Solo mentre faceva un altro giro di sguardi per lo stanzone il fiorentino si accorse della presenza di Giovanni da Casale. Era in un angolo, lontano dalle finestre, così immobile da confondersi con la parete.

Caterina seguì i suoi occhi liquidi e capì cosa avesse pietrificato a quel modo l'ambasciatore. Era decisa a mantenere un tono abbastanza disteso, e così cercò di prendere quella reazione come qualcosa di divertente e non di irritante.

"Non vi eravate accorto di messer Pirovano." disse, con un mezzo sbuffo: "Si vede proprio che avete fretta. Un uomo che nota tutto, come voi, non si sarebbe mai lasciato prendere tanto allo sprovvista, altrimenti."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora