"Mia signora..." Cesare Feo era entrato nella stanza di Giovannino quasi in punta di piedi.
Stava spuntando l'alba, ma quella camera era ancora immersa in un buio quasi perfetto. C'erano solo due candele accese e la finestra era stata coperta dalla tenda pesante, verosimilmente per non disturbare il piccolo, che pareva immerso in un sonno profondo, per quanto molto agitato.
"Cesare..." ricambiò il saluto Caterina e anche Bianca, seduta vicino al bordo opposto del letto, fece un cenno al castellano.
"Come sta?" chiese in un sussurro l'uomo, le mani giunte in grembo e lo sguardo preoccupato.
"Non migliora." fu la sola risposta della Tigre: "Mi cercavate?"
Il Feo scosse il capo: "Nulla di che. Ho dato a vostra sorella i soldi per il viaggio. Mi ha chiesto poco, il necessario appena per pagarsi qualche notte in una locanda."
La Riario, sentendo ciò, occhieggiò verso la madre. Sapere che sua zia se n'era andata, per di più senza salutare nessuno, fu solo un'altra stilettata in quella lunga notte fatta di tormenti.
"Va bene." ribatté a mezza bocca la Sforza: "C'è altro?"
"No..." la rassicurò Cesare: "Volevo solo vedere come stava messer Giovannino. Anche i suoi fratelli hanno saputo e Bernardino mi ha chiesto se potevo venire a controllare come fosse la situazione..."
La Contessa deglutì e poi gli disse: "Cercate di rassicurarlo, ma non dategli troppe speranze. Se la febbre non dovesse abbassarsi in modo sensibile tra qualche ora al massimo, non so come andrà a finire."
Il castellano annuì, gli occhi fissi sul corpicino del piccolo Medici, che bolliva per la febbre e si lamentava nel sonno di quando in quando, i lineamenti del piccolo viso tutti contratti e le manine che a tratti afferravano il lenzuolo, come preda di uno spasmo.
"Dite a Galeazzo di scrivere a Ottaviano." soggiunse la donna: "Non voglio che torni, ma è giusto che sappia che suo fratello sta male."
L'uomo fece un cenno di assenso e poi si apprestò a congedarsi, senonché fu la Tigre a fermarlo.
"Dovete vedere Baldraccani, prima che incontri Machiavelli." gli disse, cambiando tono in modo abbastanza repentino.
Per un istante il castellano rivide in lei la donna risoluta e inflessibile che presiedeva i Consigli di Guerra. Anche se i suoi occhi erano stanchi e la sua espressione triste, la sua voce era quella di un comandante.
Giovannino, seppur incosciente, parve cogliere quel cambiamento e si agitò di più, tanto che la donna, per non infastidirlo, chiese a Bianca e aspettarla un attimo e portò il Feo vicino alla porta.
Mentre la Leonessa parlava fittamente con Cesare, la Riario la osservò in silenzio. Anche se non perdeva di vista il fratellino, la sua attenzione era tutta per le poche parole che riusciva a carpire e per i gesti che le vedeva fare.
Era sorprendente, secondo lei, anzi, quasi spaventoso, vederla capace di concentrarsi tanto su questioni diplomatiche e politiche anche in quel momento. Era come se fosse capace di suddividere la sua anima in tante stanze, aprendone solo una per volta.
"Mi raccomando." concluse Caterina, guardando dritto negli occhi il Feo: "Deve dire esattamente così."
Il castellano annuì e assicurò: "Non temete, mia signora, sarà fatto quel che volete."
"E adesso lasciatemi andare da mio figlio." soffiò lei, tornando a vestire i panni della madre afflitta, ad aprire, nella metafora che si era immaginata Bianca, la camera in cui il suo figlio più piccolo, il più prezioso, quello che aveva desiderato di più e con cui andava più d'accordo, stava male e aveva bisogno di lei.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)
Ficción histórica(Troverete le prime tre parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Duca di Milano e di una delle sue amanti, Lucrezia Landriani. Dopo un'infanzia abbastanza serena trascorsa quasi per intero tra le mura del...