Ottaviano aveva la testa pesante. Quando si fu risvegliato del tutto, ci mise qualche secondo a ricordarsi dove fosse. Le prime luci dell'alba rendevano la stanza quasi irriconoscibile, ma con uno sforzo di memoria, riuscì a orientarsi.
Dopo il Consiglio dei Quaranta, non era più rientrato alla rocca, passando il suo tempo dapprima in un'osteria e poi, al calar della sera, cercando qualcuno con cui passare la notte. Non aveva voluto tornare a Ravaldino solo ed esclusivamente per paura di imbattersi in sua madre.
Il giorno prima era riuscito a evitarla, ma sapeva che, dopo quell'ulteriore sua dimostrazione di incapacità – perché era palese che avesse sfigurato, paragonato a uomini come Dipintore o Marulli, anche se quel giorno, almeno, non si era arenato come durante la riunione cittadina plenaria – la Tigre non avrebbe avuto pietà di lui.
Con il passare delle ore, invece, si augurava che la Contessa trovasse cose più interessanti a cui pensare, finendo per dimenticarsi di arrabbiarsi con lui.
Rigirandosi tra le lenzuola ruvide in cui si era trovato ingarbugliato, il giovane si trovò davanti la donna che la sera prima aveva deciso di prendersi. Non era bella, né ordinata. Dal momento stesso in cui l'aveva provato un senso di repulsione, non solo verso di lei, ma anche verso se stesso, eppure non aveva fatto tante storie e, facendole vedere qualche moneta, l'aveva convinta a seguirlo in una locanda.
Di norma avrebbe preferito rintanarsi in un postribolo, ma aveva pochi soldi con sé, e, in più, la maggior parte dei lenoni di Forlì ormai lo osteggiavano apertamente, conoscendo i suoi modi maneschi, e finivano per rovinargli la serata e lasciargli toccare solo le ragazze che nessun altro aveva voluto.
E così aveva dovuto ripiegare su una poveraccia che aveva accettato le sue monete solo per fame.
Ubriaco com'era, il Riario non aveva avuto la forza di accanirsi su di lei come faceva di consueto, addormentandosi subito dopo averla usata come sfogo per le sue voglie, e ora se la ritrovava accanto, ancora addormentata e molto più vecchia e sporca di quanto non gli fosse sembrata alla luce delle torce.
Strizzando gli occhi nel risvegliarsi, la donna fece una smorfia e si risvegliò con un colpo di tosse e una bestemmia. Inorridito per quello che aveva davanti, Ottaviano quasi saltò in piedi, cercando con lo sguardo i propri abiti, lasciati in terra.
"Ma tu sei il figlio della Tigre... Non t'avevo mica riconosciuto..." fece la stracciona, stringendo un po' le palpebre e mettendosi seduta per guardarlo meglio.
Terrorizzato, non tanto per colei che aveva dinnanzi, ma quanto per il tono, che preludeva a qualcosa di spiacevole, il Riario si infilò in fretta le brache e afferrò il giubbone lasciato sul pavimento, senza perdere tempo a recuperare anche il camicione.
"Ma dove scappi?" fece la donna, levandosi dal letto e avvicinandosi, i capelli arruffati che le coprivano mezzo volto, dandole un aspetto spettrale: "Mi devi ancora pagare!"
Il giovane, con il cuore che batteva in petto rapido come quello di un passero, andò alla porta e tentò di aprirla. Un po' per colpa della frenesia, un po' della goffaggine dei suoi gesti, non ci riuscì, finendo per essere raggiunto dalla donna che esigeva i suoi soldi.
Avrebbe fatto prima a frugarsi in saccoccia e lanciare qualche moneta per allontanarla da sé e avere il tempo di sgusciare via, ma di fatto la cosa che gli risultò più naturale fare fu allungare le mani e serrargliele attorno al collo.
Strinse per un po', sentendo la voce strozzata della sua vittima rantolare. Mentre lei gli graffiava le dita per tentare di liberarsi, Ottaviano sentiva la mente annebbiata e confusa, perso in un pelago di paura e rabbia.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)
Fiction Historique(Troverete le prime tre parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Duca di Milano e di una delle sue amanti, Lucrezia Landriani. Dopo un'infanzia abbastanza serena trascorsa quasi per intero tra le mura del...