Capitolo 568: Melior tutiorque est certa pax quam sperata victoria

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"Ah!" sbottò Ludovico Sforza, picchiando le grosse mani sul tavolo: "Tutte storie! Quei ducati erano ottimi!"

Lucio Malvezzi, che era arrivato davanti al Duca al solo scopo di portare alla sua attenzione un problema avuto coi pagamenti delle truppe della rocca di Arazzo – appena caduto sotto i colpi dei francesi – e del castello di Annone. Pareva, a detta degli uomini, che da Milano fossero arrivati dei ducati alleggeriti e quel fatto aveva subito portato un grosso scompiglio, tra le truppe.

"Ho avuto modo di vederli, quando sono stati caricati sui carretti, e a me quei soldi parevano buoni." mentì Bartolomeo Calco, senza scomporsi.

Ermes e Ascanio, che erano altrettanto presenti, si scambiarono uno sguardo silenzioso e molto significativo, ma, per fortuna, Malvezzi non se ne avvide.

"Io non so che dirvi." fece Lucio, alzando le braccia, esasperato: "Le guarnigioni sono allo stremo e sono convinte di essere state pagate meno del dovuto. Vi dico che se la rocca d'Arazzo è caduta, non è stata solo per la bravura di Gian Giacomo da Trivulzio, ma anche perché troppi dei nostri, sentendosi ingannati, sono scappati verso l'astigiano, e molti di loro si sono già messi al servizio di re Luigi!"

"Ebbene, se ci hanno traditi per qualche ducato alleggerito, allora erano uomini di poco conto, e possiamo anche farne a meno." decretò improvvisamente il Moro, alzandosi di scatto e mettendosi a camminare per la stanza, irrequieto come un maiale che intravede un norcino con una mannaia in mano: "Piuttosto, piuttosto... Sarebbe vostro espresso compito evitare altre diserzioni. Vi ordino di correre subito in soccorso del castello di Annone e di portare con voi quel che resta della guarnigioni della rocca d'Arazzo."

Malvezzi provò a dire qualcosa, ma lo Sforza lo stava già scacciando con un cenno della mano.

"Per tutto quello che vi serve, potrete dire a me più tardi." disse piano il cancelliere, accompagnando Lucio verso la porta.

"Alessandro si sta già spostando verso Alessandria?" chiese Ludovico, voltandosi verso Ermes.

"Sì – annuì subito lui – abbiamo mandato l'ordine a mio fratello per tempo."

Il Moro fece un breve sospiro, mentre Calco tornava verso di lui. Alessandro, suo nipote, tutto era fuorché facile da governare, tuttavia si era dimostrato abbastanza volenteroso. Era stato un peccato non essere in grado, per il momento, di sfruttarlo al meglio.

L'aveva mandato a Vigevano, temendo lì un attacco francese, e, quando invece si era accorto che era la rocca d'Arazzo a essere nelle mire di Gian Giacomo da Trivulzio, gli aveva mandato subito l'ordine di correre in loco, ma Alessandro era arrivato a rocca già persa.

"Speriamo che faccia in tempo..." commentò tra sé il Duca, augurandosi che i soldati del nipote procedessero davvero a marce forzate verso Alessandria.

Perdere una città tanto importante, sarebbe stata una tragedia, specie in quel momento. L'invasione del Ducato era appena iniziata. Erano già oltre la metà d'agosto. Con un po' di pazienza, secondo i suoi astrologi, sarebbero riusciti a ritardare l'avanzata francese, arrivando ad avere l'inverno come alleato.

"Ermes, per favore, un riassunto di quello che è successo in questi giorni..." fece Ludovico, premendosi le grosse mani sulle tempie.

A volte gli sembrava di essere sull'orlo della follia. Non c'era giorno che non arrivasse qualche notizia catastrofica. Si sentiva accerchiato, tradito, dimenticato da quelli che avrebbero dovuto essere suoi alleati. Il colpo di grazia, poi, gliel'aveva dato venire a sapere che il suo Giovanni da Casale, il poveraccio a cui lui aveva dato un futuro e una posizione, si era messo a fare l'ambasciatore a Firenze per conto di sua nipote Caterina. Oltre ad averlo privato di uno dei suoi migliori elementi, quella donna non sembrava nemmeno essere in grado di impiegarlo nel modo giusto.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora