Capitolo 488: 7 febbraio 1499

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Quel 7 febbraio il cielo sopra Roma era di un azzurro terso e pieno. Il sole che splendeva senza alcuna nuvola a infastidirlo stava facendo desiderare follemente a Lucrecia che l'inverno finisse presto e cominciasse la primavera.

Le temperature erano ancora basse e, quando uscì dai suoi appartamenti, dovette coprirsi accuratamente, ma il clima era comunque troppo piacevole per restarsene tutto il giorno al chiuso.

Si sentiva bene e aveva voglia di muoversi. Il figlio che portava in grembo cresceva bene, almeno così dicevano le sue dame di compagnia, che non la perdevano di vista un momento, da quando l'avevano saputa incinta, e quell'aria frizzante le stava mettendo fame non solo di cibo, ma anche di vita.

Alfonso era impegnato e quindi la giovane non poteva nemmeno sperare di passare con lui una mattina di svago. Però c'era un invito, all'inizio da lei ignorato, del Cardinale Lòpez, che le aveva ufficialmente aperto le sue famosissime vigne, affinché, appena l'avesse voluto si concedesse una sana cavalcata immersa nella natura.

Il periodo del Carnevale e l'incombere della Quaresima – non che in Vaticano si avvertisse molto la differenza tra i due periodi – fece decidere la Borja. Pensava che, malgrado i costumi liberi di suo padre e dei suoi parenti, sarebbe apparso inopportuno indulgere in una cavalcata di piacere durante un periodo di penitenza come i quaranta giorni che precedevano la Pasqua.

Così, messe in visibilio tutte le sue dame di compagnia, fece preparare i cavalli e partì alla volta delle vigne di Lòpez.

Il terreno era un po' fangoso, per via di tutta la pioggia caduta nei giorni addietro, ma nel complesso la cavalcata era abbastanza agevole. Dapprima, passando tra le viti, le donne non spronarono le loro cavalcature, anzi, le condussero molto lentamente, approfittando dell'occasione di essere in mezzo alla campagna aperta per abbandonarsi a chiacchiere molto più licenziose del solito.

Lucrecia, però, che non aveva mai amato troppo i discorsi volgari, finì per stancarsene in fretta. Le pareva uno spreco di tempo, ascoltare le sue amiche discutere delle differenze che intercorrevano tra i vari uomini della corte papale e, quando un paio di loro furono sul punto di litigare a causa di un confronto poco lusinghiero fatto tra l'amante di uno di queste e un noto decrepito Cardinale, la Borja decise di movimentare un po' la situazione.

"Vediamo chi mi sta dietro!" esclamò, ridendo e dando un colpo secco col tallone al fianco del suo cavallo.

Questi partì rapido e agile tra i filari, e Lucrecia, abilissima in sella, distaccò subito le poche dame di compagnia che avevano osato lanciarsi al suo inseguimento.

Correndo a quel modo, sotto al sole abbastanza caldo che si avvicinava allo zenit, l'odore della terra umida nelle narici e la sensazione forte ed esaltante del cavallo che galoppava sotto di lei, la giovane riuscì a dimenticarsi per un po' di tutto quanto.

Era così immersa nelle sensazioni che quella selvaggia cavalcata le stava dando, da non accorgersi subito di una irregolarità molto pronunciata del terreno.

Il cavallo, parimenti a lei, se ne avvide troppo tardi e una delle zampe inciampò, storcendosi e spezzandosi con un sordo schiocco, costringendolo a una rovinosa caduta. Lucrecia, per quando si stesse tenendo saldamente alle redini, venne sbalzata via dalla sella, finendo a un paio di metri dalla bestia.

Quando le due dame di compagnia che le erano più vicine la raggiunsero, rischiando anche loro di ruzzolare in terra, dato che le loro cavalcature si impennarono, nel vedere il cavallo della figlia del papa morente in terra, trovarono la Borja priva di sensi sul terreno fangoso.

Ottaviano Manfredi teneva i gomiti appoggiati alle ginocchia e osservava attento il cantiere che, come un formicaio, si muoveva incessantemente davanti a lui.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora