Capitolo 543: Id dictu quam re, ut pleraque, facilius erat.

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"A fare cosa?" chiese Ottaviano, guardingo, ma con un tono abbastanza docile.

Sua madre gli pareva già abbastanza indispettita per conto suo. Non sarebbe stato saggio farla arrabbiare ancora di più solo per togliersi la soddisfazione di alzare la voce.

"Hanno portato là dei prigionieri che hanno usato le nostre insegne per una scorreria non autorizzata a Salutare." spiegò la donna, restando sulla porta, tesa, come se restare troppo a lungo in quella stanza le potesse essere fatale: "Che è ancora in territorio fiorentino, se per caso non lo sapessi."

Il Riario parve improvvisamente spaventato da quella prospettiva e, puntandosi un lungo indice al petto, domandò, con voce un po' tremante: "E che dovrei andare a fare, io, a Forlimpopoli, con dei prigionieri?"

"Non ti sto chiedendo di giustiziarli, se è questo di cui hai paura." soffiò la donna, senza guardarlo, trattenendosi a stento dal dirgli che lo sapeva capace anche di peggio: "Devi solo presenziare all'interrogatorio e restare a Forlimpopoli almeno per un giorno o due."

Il giovane parve ragionarci un istante. Era chiaro, a quel punto, che quello fosse solo un pretesto per non averlo tra i piedi lì a Forlì.

"Starai alla rocca, da tuo zio Piero." concluse Caterina, senza attendere ulteriori repliche: "E gli scriverò per dirgli di tenerti d'occhio. Combina anche solo un disastro, mentre sei da lui e te ne pentirai, puoi giurarci. Preparati, partirai tra un'ora."

Siccome la madre era già uscita in corridoio, Ottaviano trovò il coraggio di lasciarsi andare a un sonoro sbuffo, ma subito dopo si mise a cercare nella sua cassapanca per raccattare qualche abito da portare con sé a Forlimpopoli.

Ludovico uscì da Santa Maria delle Grazie stringendo gli occhi contro il sole. Vi era entrato che faceva ancora buio e ne usciva con la luce tersa e spietata del mattino.

Era rimasto sulla tomba di Beatrice per ore, incapace perfino di pregare, paralizzato dalla paura.

Gli avevano detto, la sera prima, che probabilmente i francesi avrebbero forzato il confine proprio in quei giorni e, per lui, era stato come un colpo di scure. La nebbia che di norma inondava la sua Milano in novembre, era calata sulla sua mente, benché fosse la metà di luglio.

Aveva cercato prima conforto tra le braccia della sua Lucrezia Crivelli, ma nel cuore della notte non gli era bastata, quell'illusoria consolazione, ed era uscito, vestito di scuro e con un cappuccio in testa per non farsi riconoscere da nessuno. Aveva camminato fin da subito con una meta ben precisa, ma era tanto agitato da sbagliare strada tre volte, prima di trovare quella diretta alla chiesa in cui riposavano i resti di sua moglie.

Coprendosi bene la fronte con la stoffa un po' ruvida della cappa, l'uomo mosse qualche passo un po' ciondolante. Aveva le gambe molli e l'idea di tornare al palazzo di Porta Giovia l'atterriva. Aveva paura dei discorsi sulla guerra, delle pianificazioni, degli errori che, di certo, avrebbe commesso.

Confuso com'era, quasi non si avvide di un volto familiare che, in abiti stranamente sobri, stava raggiungendo a passo svelto un luogo molto vicino a Santa Maria delle Grazie.

Quando il barlume di lucidità che gli era rimasto gli permise di mettere a fuoco il viso del suo domine magister, alzò una mano ed esclamò: "Maestro Leonardo!"

Questi, che aveva riconosciuto molto bene il Moro, ma che aveva sperato fino alla fine di non essere visto, fece un cenno con il capo, continuando a camminare, nel tentativo di non farsi fermare.

"State andando alla vostra vigna?" chiese il Duca, iniziando a seguirlo, benché avesse intuito l'insofferenza dell'artista.

Leonardo annuì e disse, un po' secco: "Sì, e voglio arrivarci in fretta."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora