Capitolo 615: Fata viam invenient.

110 16 14
                                    

"Mi rendo conto che ci sia bisogno di una decisione – disse Galeazzo, guardando il castellano senza riuscire a capire che cosa volesse davvero da lui – ma non vedo perché dovreste chiedere a me, quando è mia madre che decide se..."

Bernardino da Cremona, che si era aspettato, in fondo, che il figlio della Tigre in realtà non avesse idea che la Contessa avesse lasciato la città 'per qualche giorno', guardò un momento anche Luffo Numai che, rispetto al Riario, aveva saputo simulare molto meglio una certa sicurezza di sé.

"Lo sapete che finché vostra madre non torna – disse subito il Consigliere, fissando Galeazzo in modo eloquente – siete voi a dover dare l'ultima parola su questo genere di scelte. Se può esservi utile, trovo che sia una buona decisione dare a vostro fratello Ottaviano la scorta che chiede in vista del viaggio di domani a Imola, purché sia un manipolo di soldati in borghese e in grado di farlo arrivare a destinazione senza attraversare Faenza."

Il ragazzino, ascoltate con attenzione le parole di Numai, annuì e, seguendo l'onda, senza esprimere a voce alta la propria confusione, si fidò del forlivese e confermò: "Si faccia così. Che mio fratello parta prima dell'alba – soggiunse, trovandola un'ottima idea e vedendosi subito spalleggiato da Luffo, che annuì – in modo che possa arrivare a Imola il più tranquillamente possibile."

Bernardino da Cremona capì all'istante di non avere ulteriori possibilità di indagare su quanto di fatto il Riario e Numai fossero informati circa la partenza della Sforza, e così desistette, limitandosi a ottemperare ai propri incarichi: "Benissimo. Vado subito dal Capitano Mongardini a dirgli di scegliere gli uomini adatti."

"Ah – soggiunse il figlio della Leonessa – per il momento, ma di certo anche mia madre ve l'avrà detto, è bene che nessuno sappia nulla della sua momentanea assenza."

Il castellano fece un mezzo inchino e assicurò: "Dalle mie labbra non uscirà nemmeno mezza parola."

Al che, Galeazzo lo congedò con un cenno del capo e altrettanto fece Luffo. Rimasti soli nella sala delle armi in cui il giovane Riario era rintanato da almeno un'ora a lucidare le armature, per qualche istante nessuno dei due parlò.

Alla fine, il ragazzino appoggiò al tavolo lo schiniere che si era rigirato tra le mani per tutto il tempo in cui il castellano era stato lì e chiese, a voce molto bassa: "Dov'è mia madre?"

"Non ne ho idea." ammise il forlivese, che aveva sperato fino alla fine che il suo interlocutore ne sapesse più di lui: "Non sapevo nemmeno avesse lasciato la rocca."

Fuori il cielo era scuro, la sera avanzava e qualche lampo in lontananza minacciava di nuovo pioggia. Galeazzo avrebbe tanto voluto pensare che sua madre, com'era avvezza fare a volte, si fosse nascosta alla Casina, in mezzo ai suoi boschi, per pensare. Però, dalle parole del castellano e dal fatto che la Contessa avesse scelto dei referenti che decidessero al suo posto durante la sua assenza, il Riario si era trovato ad esser certo che si fosse allontanata più del solito.

"Chi potrebbe sapere dov'è andata e perché?" chiese, retoricamente, Numai, convinto che una risposta non ci fosse.

Galeazzo, invece, ancora mentre il Consigliere stava parlando, già aveva pensato a chi rivolgersi.

Senza dire dove fosse diretto, si scusò in fretta con Luffo e gli disse: "Penso di saperlo. Se avrò novità, vi terrò informato."

L'uomo lo lasciò correre via, chiedendosi se, per caso, il ragazzino fosse diretto agli alloggi di Giovanni da Casale. Era plausibile pensare che il comandante della cittadella sapesse qualcosa più degli altri, ma Numai aveva la sensazione che quella volta la Tigre non si fosse confidata nemmeno con il suo favorito.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora