Capitolo 477: Nessuno è libero, se non è padrone di se stesso.

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 Caterina sentiva le mani viscide di sangue caldo dolere per i colpi che continuava a infliggere a Bastiano Pescatore, che, accasciato in terra, ricurvo in avanti, non cercava nemmeno più di difendersi, riuscendo a mala pena a gemere ogni volta che i pugni della Tigre raggiungevano le sue carni.

Non sapeva da quanto stava andando avanti. Aveva sentito l'osso del naso del prigioniero rompersi, a un certo punto, e poco dopo la stessa sorte era toccata a uno zigomo e a qualche costa, ma quella serie di sensazioni orribili e al contempo tante ferine da inebriarla non l'aiutavano a capire da quanto tempo lo stesse percuotendo.

Risentiva ancora nelle orecchie le parole che quell'uomo aveva osato dirle e ciò non faceva altro che rinverdire la violenza dei suoi colpi.

Tuttavia, mentre sollevava ancora una volta il pugno chiuso, diretto agli occhi già tumefatti del faentino, una tragica consapevolezza. Aveva intravisto, nella cecità della rabbia, il nodo nuziale che portava ancora all'anulare.

Sul dito, contratto come gli altri nel tenere salda la presa su Bastiano Pescatore, quel simbolo di fedeltà e amore riluceva come un monito.

Vederlo sporco di sangue fu un'epifania. Era come se suo marito fosse accanto a lei, in quel momento. Era come se quel sangue stesse lordando anche lui.

Caterina si rese conto di star riducendo in fin di vita un uomo perché aveva insultato lei, ma soprattutto perché aveva insultato Giovanni. Ma se Giovanni avesse potuto davvero vedere e sapere quello che stava facendo...

Con la mano che avrebbe dovuto sferrare il pugno ancora a mezz'aria, Caterina si bloccò di colpo, senza fiato. Lasciò andare di scatto il bavero del camicione del prigioniero, e questi ricadde al suolo privo di sensi, ma ancora vivo.

La Sforza deglutì rumorosamente, tirandosi in piedi. Guardò il risultato del suo eccesso d'ira e per qualche istante non riuscì a fare altro che restarsene immobile a contemplare una scena che si era ripromessa di non dover più vedere.

Bastiano Pescatore era immoto, solo il torace che si sollevava e si abbassava scompostamente denunciava il fatto che non fosse morto. Il viso era gonfio e pesto, una maschera di sangue, praticamente irriconoscibile. I suoi abiti – come quelli della Contessa – erano imbrattati di rosso e anche sul pavimento c'erano i segni di quella mancata mattanza.

La Tigre fece un paio di respiri molto fondi e poi, le mani strette a pugno lungo i fianchi, decise di andarsene, prima di perdere di nuovo il controllo in qualche modo.

Uscì dalla cella e disse, quasi meccanicamente, alle due guardie: "Riportatelo nel rivellino. Che venga curato e assistito. Non deve morire per nessun motivo, intesi? Questo prigioniero ci serve vivo."

I due uomini annuirono e andarono a controllare in che stato fosse Pescatore, mentre la loro signora andava a passo svelto verso le scale.

Aveva i capelli scompigliati, qualche ciuffo niveo che le finiva sul volto, mentre faceva i gradini a gran velocità. Non osava metterseli a posto, però, perché sapeva di avere le mani piene di sangue.

"Madre!" la voce di Bianca la risvegliò dallo stato catatonico in cui era sprofondata e così si rese conto all'improvviso di essere già arrivata al piano superiore.

La figlia era appena uscita dalla stanza di Giovannino e non aveva potuto far a meno di richiamare l'attenzione della madre, quando l'aveva vista con gli occhi vitrei e in uno stato di tale agitazione.

"Cos'è successo?" le chiese, posandole una mano sul braccio, fissandola in volto, preoccupata.

La Tigre registrò silenziosamente come quello fosse il primo vero contatto tra lei e Bianca, da quando l'aveva vista con quel ragazzo la notte di Natale. Tuttavia, in quel momento, non aveva alcuna voglia di riaffrontare quell'argomento – anche se, lo sapeva, sarebbe stato bene farlo, prima o poi, vista la situazione – e così decise di concentrarsi solo sulla domanda che le era stata posta.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora