Capitolo 575: Nostra Donna di Santa Maria Impruneta

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Machiavelli osservava con un certo distacco la Tavola di Nostra Donna di Santa Maria Impruneta mentre, la folla la trasportava verso il cuore della città.

Anche se quel genere di ricorrenze gli interessava poco, il Segretario di Stato aveva pensato che sarebbe stato giusto, per lui e per la sua carriera, mostrarsi partecipe di quella parentesi di vita cittadina.

Così era stato accanto alla Tavola fin dal suo arrivo al limitare della città. Il sole di quel 24 agosto era crudele e gli batteva sulla testa con la ferocia di un martello. A nulla serviva avere con sé il cappello, se poi era necessario tenerlo in mano, in rispetto alla Madonna.

La data scelta dalla Signoria, per quella festa, era il 25 agosto. Era stato Vitelli a chiedere e ottenere che venisse anticipata di un giorno. Aveva reso noto che quel giorno aveva intenzione di dare l'ultimo affondo a Pisa, in modo da aver vinta la città una volta per tutte anche senza piegarla al sacco – come, d'altro canto, gli era stato esplicitamente richiesto – e così trovava che la processione gli sarebbe stata di miglior auspicio e aiuto, se fosse stata fatta in contemporanea con il suo attacco.

Facendo parte del seguito che aveva preso in consegna il sacro oggetto fin da prima dell'ingresso in Firenze, Niccolò aveva potuto assistere a un curioso avvenimento.

Mentre passava sotto un ulivo, l'effige della Madonna era rimasta per un istante impigliata nelle fronde della piante e un rametto era rimasto incastrato in una delle stelle del mantello di Maria.

Alcuni di quelli che portavano a braccio la reliquia, istigati anche dagli altri fedeli, che avevano visto in quel fatto solo un incidente spiacevole, avevano cercato di far cadere il ramicello usando una canna, ma, per quanto si fossero impegnati, non c'erano riusciti.

Niccolò era rimasto abbastanza basito, quando, dinnanzi all'impossibilità di districare il ramoscello a quel modo, invece di ingegnarsi a trovare un'altra soluzione, i presenti avevano cominciato a gridare il miracolo, volendo vedere in quel fatto il volere divino.

"La Madonna – dicevano – porta in Firenze l'ulivo della pace! La guerra è vinta!"

La processione era arrivata a San Felice. Lì, in mezzo alla folla che l'attendeva, Machiavelli riconobbe anche Jacopo Salviati, seguito dalla moglie e sai figli. Trovava quasi ridicolo quello sfoggio di prole. Era come se quell'uomo, all'apparenza così pacato e misurato da sembrare a tratti un ignavo, volesse dimostrare a tutti che, nel segreto della sua casa, era molto più intraprendente di tanti altri.

I portantini aveva smesso un momento di avanzare, su suggerimento di alcuni, e avevano abbassato la Tavola al solo scopo di togliere il ramo d'ulivo dal mantello della Madonna metterlo più in bella mostra, direttamente sulla spalla della statua, in modo che tutti potessero vedere e capire.

"Non ti sembra che sia un segno un po' troppo scontato? Un ramo d'ulivo..." sussurrò Lucrezia Medici, mentre, assieme al marito e seguiti dalle balie che tenevano i loro figli, si metteva a seguire a passo lento la processione.

Jacopo corrugò appena la fronte e poi disse, accomodante: "Lo trovo un segno divino molto più pratico di una colomba. Almeno un ramo d'ulivo non rischia di insozzare con le sue deiezioni la Madonna..."

La donna avrebbe voluto insistere, ma aveva capito che il marito aveva compreso perfettamente quello che intendesse, ma che avesse deciso di smorzare la questione solo perché aveva intravisto poco distante da loro un altro Medici, Lorenzo, e, forse, anche solo poche parole riguardo quello che veniva già definito un miracolo avrebbero potuto scatenare tra loro uno scontro. E il Salviati tutto voleva, fuorché una zuffa nel mezzo della processione dedicata alla Nostra Donna di Santa Maria Impruneta.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora