C612La cosa era tanto avanti che così determinammo per nostro scampo che morisse

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"Ed è vero, quello che dicono tutti di lui?" chiese Caterina, incrociando le braccia sul petto.

Marulli sollevò le sopracciglia, guardando per un momento la sua signora. La Sforza, seduta sul suo letto dalla foggia povera – quasi un lettuccio da soldato, se non fosse stato per le dimensioni degne di un letto da sposa – teneva lo sguardo cupo rivolto verso il camino. Fuori stava ricominciando a piovere e la luce si era fatta scarsa. Senza che nessuno dei due se ne avvedesse, avevano tirato tardi.

"Che è un bellissimo giovane?" chiese, incerto, il bizantino.

Per un istante le labbra piene della donna si sollevarono in un sorriso divertito, ma poi tornarono subito a disegnare una riga severa, mentre lo correggeva: "No, intendevo dire se è davvero un incapace come lo descrivono tutti."

"Un uomo che sia così privo di scrupoli da essere pronto a tutto, può essere ritenuto davvero un incapace?" rilanciò Michele, battendosi le mani sulle ginocchia.

"Non sono in vena dei vostri sofismi da letterato." lo rimproverò la Contessa.

Marulli, alla scrivania, fece un sospiro e allargò un po' le braccia: "Diciamo che, per quel poco che ho visto, lo ritengo abbastanza pericoloso, per essere solo un incapace."

"Ho capito." concluse la Tigre, massaggiandosi stancamente la fronte.

Avevano discusso a lungo di Milano, dei francesi e di cosa fosse adesso il palazzo di Porta Giovia.

Il bizantino le aveva riferito tutte le impressioni che aveva raccolto, nell'avvicinarsi al re di Francia, e i malcontenti, più o meno evidenti, di alcuni suoi generali nel sapere che a breve, nella spedizione in Romagna, avrebbero dovuto sottostare al figlio del papa.

"Forse dovrei andare..." disse a un certo punto Michele, alzandosi: "Non vorrei che qualcuno pensasse male, nel vedermi uscire dalla vostra stanza in piena notte. Ho una moglie che amo."

La Leonessa gli concesse subito di andarsene, sollevando una mano, ma, prima che l'uomo lasciasse la stanza, gli rivolse una domanda che si era scordata di fargli prima: "Credete che il Marchese di Mantova potrebbe esserci di nuovo amico?"

Marulli parve un po' spiazzato da quella richiesta, ma poi, ricordando quello che aveva sentito mentre era a Milano, annuì: "Lui sì. Su sua moglie, invece, non saprei che dirvi."

La Sforza annuì e poi gli indicò di nuovo la porta: "Andate pure, avete bisogno di mangiare e riposare. Il viaggio, come mi avete detto, è stato molto difficile... Non voglio abusare oltre della vostra gentilezza."

L'altro la ringraziò e la lasciò. Rimasta sola, Caterina si lasciò cadere all'indietro sul letto, mettendosi a fissare il soffitto. Era vero, Isabella Este era indecifrabile, specie per lei. Da un lato l'ammirava, perché era una donna capace di tenere a freno un marito come Francesco Gonzaga, ed era anche stata in grado di attirare su di sé l'attenzione di tutte le corti italiane per la sua cultura e la sua eleganza. Tuttavia, nelle sue scelte – per quanto la Contessa avesse sempre seguito solo marginalmente la sua politica – le era sempre apparsa come smossa da qualcosa che si avvicinava molto spesso al capriccio più che alla logica.

Le chiacchiere, poi, su di lei e Pietro Bembo, avevano fatto il resto.

Con un sospiro, Caterina si rimise seduta, dicendosi che se una Marchesa voleva avere una relazione adulterina con un giovane cortigiano, non era certo lei la persona più indicata per criticarla, ma il motivo che sembrava averla spinta a una certa disinvoltura con quel Bembo, e forse non solo con lui, la lasciava perplessa. Secondo i pettegoli, infatti, quella era stata solo una ripicca, per punire un marito fedifrago.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora