Capitolo 483: ...la doppiezza è infatti un laccio mortale.

164 19 6
                                    

Simone finì di leggere il messaggio che lo ragguagliava sui fatti del fronte e poi si appoggiò contro lo schienale della sedia, le mani giunte davanti al viso e lo sguardo vitreo.

Mettendoli alla fame e incalzandoli, Paolo Vitelli era riuscito a cacciare Bartolomeo d'Alviano dai monti della Verna e Carlo Orsini da Montalone. Si trattava di un ottimo traguardo, perché così facendo i veneziani non solo venivano rallentati, ma non avevano più accesso alla Toscana in modo abbastanza diretto da poter foraggiare il proprio esercito con il grano di Firenze.

Tuttavia, quello che aveva fatto scendere un blocco di ghiaccio nello stomaco di Ridolfi era stato l'inciso che aveva seguito i fatti nudi e crudi.

Si suggeriva, infatti, non senza malignità, che Paolo Vitelli avesse lasciato scappare l'Orsini con troppa facilità, senza tentare in alcun modo di catturarlo.

Se per l'Alviano si diceva che era già stata un'impresa notevole riuscire a costringerlo alla fuga, con il di lui nipote la questione era molto diversa. Pareva che perfino Gaspare Sanseverino si fosse preso la briga di enunciare pubblicamente i suoi sospetti, tacciando il Vitelli di essere a rilento e inspiegabilmente morbido coi veneziani.

Simone fece un respiro profondo, passandosi una mano sulla fronte e trovandola sudata. Era quasi sera, e fuori stava scendendo una nebbia abbastanza fitta. Se fosse nevicato, almeno, quella coltre di umidità sarebbe rimasta al suolo, e invece da un paio di giorni non cadeva nemmeno un fiocco, facendo di Imola una facile preda per quel denso gelo, tanto fitto da penetrare vestiti e ossa.

"Gliela porto io." sentì la voce di Lucrezia dire, da dietro la porta, e, subito dopo, la donna entrò, portando in mano una lettera.

Lo sguardo della Feo si posò prima sulla scrivania coperta di carte e poi, con maggior preoccupazione, sul volto scuro del marito.

Non si faceva la barba da giorni e anche i capelli erano diventati una selva di nodi. Le intemperie e l'umidità, poi, non avevano fatto altro che peggiorare la situazione e il risultato era che Ridolfi sembrava più un mendicante che non il Governatore di una città importante come Imola.

"Hai ancora addosso la corazzina?" chiese Lucrezia, avvicinandoglisi e posando il messaggio sopra a tutti gli altri.

L'uomo abbassò lo sguardo, rendendosi conto solo in quel momento di non essersi tolto nemmeno il giubbetto di cuoio borchiato, che ricadeva pesante a listelli sulle ginocchia.

Da un po' aveva la tangibile sensazione di essere odiato, e non più solo dai soldati reclutati con la forza, ma anche da tutti i cittadini, donne e bambini compresi. Quando passava per le strade, vedeva benissimo come lo guardavano e non gli sfuggivano certi commenti detti a mezza bocca, che lo accusavano di essere il cagnaccio della Tigre, molto più interessato ad abbaiare ordini e mordere poveri cristiani, piuttosto che curarsi davvero dei bisogni della città.

E così, un po' per eccesso di prudenza e un po' per scaramanzia, si era abituato a girare sempre armato e possibilmente coperto da un po' di ferro.

Aveva anche smesso di andare nei postriboli in cui era ben noto cliente, per paura di poter essere accoltellato mentre era nudo.

"Sono... Sono solo un po' distratto." si schermì, allungando poi l'occhio verso la nuova lettera, ignorando Lucrezia che, per cercare di tranquillizzarlo, gli accarezzava lentamente la guancia coperta di barba ispida e rossiccia: "E quello?" chiese, afferrando il messaggio.

La Feo gli disse che era appena arrivato da Forlì, ma che non sapeva dirgli di più.

Simone lesse d'un fiato le parole della sua signora, ma, arrivato alla fine, dovette ricominciare da capo. Più lo rileggeva, più non capiva se quello era un testo che portava con sé una punizione o una promozione.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora