Capitolo 537: Muta partito, quando ti accorgi che il nemico l'abbia previsto.

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Era da poco passato mezzogiorno e nel cortile d'addestramento erano rimasti pochi soldati. La maggior parte erano rientrati per mangiare qualcosa e altri avevano lasciato l'allenamento per andare a dare il cambio alle ronde sui camminamenti.

"Ma è davvero necessario lasciare costantemente così tanti uomini sulle merlature?" chiese Giovanni da Casale, mentre osservava con occhio critico altri due armigeri che andavano nella sala delle armi a riporre le corazzine e le spade spuntate.

"Voglio che Forlì abbia costantemente idea di essere protetta. Vedere uomini sempre in efficienza sembra far star più tranquilli i miei sudditi." tagliò corto Caterina.

Si rendeva conto che il milanese avesse bisogno di prendere per bene le misure del suo modo di governare e delle sue abitudini, ma a volte le sue domande le sembravano tanto irritanti quanto superflue.

Quando era stato a Forlì in precedenze, forse sentendosi molto meno coinvolto nell'economia di Ravaldino, aveva evitato di addentrarsi troppo negli affari della Tigre. Forse era quel paragone a infastidire la Sforza. Se avesse potuto, l'avrebbe voluto tenere solo come distrazione, ma sapeva che in un momento come quello era importante avere anche il suo cervello e la sua abilità in guerra, non solo la sua prestanza come amante.

Si erano messi a osservare quella sessione di addestramento dalla finestra, per sottrarsi alla calura e al sole cocente. Da lì potevano vedere benissimo cosa facevano i soldati e commentare a tono, senza essere sentiti.

Stavano cercando di fare un punto della situazione e, convenendo con la Contessa, anche Pirovano si era trovato a dire che non avendo un esercito numeroso quanto quello nemico, era fondamentale, almeno, sfruttarlo nel modo migliore. Per far ciò, era necessario conoscere il più a fondo possibile ogni soldato, in modo da destinarlo al ruolo più adatto alle sue capacità.

"Come fanti quei due non valgono nulla..." sospirò Giovanni, indicando due ragazzi che stavano tirando di spada tra loro: "Guarda tuo figlio. È tre volte meglio di loro due messi assieme."

Galeazzo, in effetti, a breve distanza dai due contadini che facevano gli armigeri improvvisati, sembrava un principe della guerra, per i suoi movimenti molto più fluidi e i suoi colpi parecchio più forti.

"Li metteremo ai rifornimenti." concordò Caterina: "O, se quando ce ne sarà bisogno, a gettare pietre dalle merlature."

Pirovano annuì e poi, sistemandosi un po', i gomiti appoggiati al davanzale, arrivò a sfiorare la spalla della donna con la sua. Era un tipo di contatto fisico che metteva Caterina un po' in difficoltà.

Anche se pure quella notte non aveva avuto problemi a dividere con lui il letto, non sentiva di avere quell'intimità necessaria per indulgere in quei gesti, così lievi e quasi sfuggenti, che invece le erano risultati del tutto normali e, anzi, appaganti, con Giovanni Medici e Giacomo Feo.

Tuttavia non si scostò, lasciando al suo amante quel piccolo spazio di confidenza e il milanese parve apprezzarlo molto.

La trovava spesso sfuggente, quando non erano nella loro stanza, e, a tratti, perfino quando si amavano la sentiva distante. Aveva rinunciato a capirla fin da subito, ma c'erano momenti, come quello, in cui avrebbe voluto sapere cosa ci fosse di preciso tra loro. Stava gettando tutto alle ortiche, per lei, non solo la fiducia del Moro, che gli aveva permesso di diventare quello che era staccandosi dalla marmaglia in mezzo alla quale era nato, ma la sua vita intera.

"Il Duca mi ha risposto..." le disse, quasi se ne fosse dimenticato: "Per tua sorella Chiara."

"E che ha detto?" chiese subito la Tigre, stringendo le mani l'una nell'altra e tornando a guardare i soldati nel cortile, tesa.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora