Capitolo 466: Trovare un accordo

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Gli zoccoli del cavallo di Ottaviano Manfredi battevano sul terreno coperto di neve ghiacciata come delle furie. Assieme a lui non c'era che una manciata di soldati, i pochi che avevano voluto seguirli.

Di venti che se n'era portati appresso, meno della metà avevano voluto seguirlo in quella che poteva quasi dirsi una fuga, se non addiritura una diserzione.

La verità – e il faentino non avrebbe avuto paura di ammetterlo perfino davanti alla Signoria di Firenze – era che Paolo Vitelli stava perdendo il polso dei suoi soldati, troppo impegnato a rincorrere i capricci dei suoi padroni che, invece di accontentarlo e pagarlo come dovevano, continuavano a stringere la cinghia della borsa, facendone uscire un fiorino ogni tanto e basta.

Vitelli si era ritirato presso Giuliano Gondi, ufficialmente in attesa dei rinforzi e dei soldi di Firenze, ma la truppa aveva letto quel gesto come un segno di profondo disinteresse e alcuni, proprio come Manfredi, ne avevano approfittato per allontanarsi dal campo.

"Perché lo volete fare?" gli aveva chiesto il forlivese Albertino Boschetti, l'unico a sapere del suo progetto, a parte i suoi uomini: "Avete accettato un altro ingaggio? Dovete correre a occuparvi dei vostri affari personali, forse?"

"Lo faccio perché so che c'è qualcuno che ha bisogno di me – aveva risposto Ottaviano, ricordandosi della promessa fatta alla Tigre e del tempo che marciava contro di loro, facendo avvicinare gennaio a gran giornate – e non sopporto di lasciare qualcuno a cui tengo nelle difficoltà."

E così, a notte fatta, era partito, incurante della strada che avrebbe dovuto percorre, della intemperie che avrebbe dovuto affrontare e, più di tutto, dell'eventuale punizione che Firenze avrebbe potuto infliggergli una volta scoperto il suo colpo di testa.


Ludovico, intabarrato come un orso, si stava aggirando tra i manovali, per controllare che i palchetti e le lizze venissero posizionati esattamente come voleva lui. O meglio, come Leonardo aveva suggerito di sistemare.

Il domine magister, però, aveva ben pensato di non sovraintendere come avrebbe dovuto a quei lavori, preferendo farsi un giro – anche quel giorno, come sempre, da che aveva finito il Cenacolo, più per far tacere il suo committente che per reale desiderio di concludere l'opera iniziata – nella vigna che il Duca gli aveva concesso in ottobre.

Poco più che una lingua di terra tra il convento di Santa Maria della Grazie e il monastero di San Vittore al Corpo, ma Leonardo pareva tenerci tantissimo e non era raro sentirlo parlare dei suoi progetti per far portare l'uva della sua Anchiano fino a Milano per provare a farla crescere nella sua nuova vigna.

Il Moro soprassedeva a questa sua mancanza di interesse per lo sfoggio di arte bellica ed equestre che aveva in mente, e sopportava di starsene all'aperto per ore, malgrado il vento gelido e la neve sferzante.

Forse era stato un errore decidere di tenere un simile evento in dicembre, ma non poteva aspettare la primavera. Prima di tutto doveva rispondere in modo duro e deciso alle illazioni che lo volevano debole e incapace di farsi rispettare dai suoi stessi comandanti. E poi era necessario anche dimostrare agli stranieri di quali e quante armi disponesse. E anche i cavalli. Dovevano capire che i cavalli di Milano erano i migliori, scelti nelle scuderie più prestigiose d'Italia, al solo scopo di farne cavalli da guerra che non fossero secondo a nessuno.

Con un colpo di tosse che gli squassò il petto, portandolo a stringersi una mano alla gola, laddove il laccetto d'oro del mantello premeva contro il doppio mento, Ludovico strizzò gli occhi contro quella che ormai pareva una vera e propria tempesta di neve.

La sua città non era mai stata gentile, con lui. Quel clima impietoso ne era solo l'ennesima conferma. Di giorno ci si faceva gelare il sangue tra la neve e il vento e verso sera saliva dalla terra ghiacciata una fitta nebbia, spessa e freddissima, che si protraeva a volte anche fino a metà mattina, sempre che non riprendesse a fioccare.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora