Capitolo 473: Dilexit tum te non tantum ut vulgus amicam...

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Firenze, in quella notte di Natale, sembrava un piccolo presepe spazzato da un vento freddo che portava con sé qualche rado fiocco di neve.

Jacopo Salviati e sua moglie erano appena usciti sul sagrato della chiesa e stavano salutando gli ultimi conoscenti, prima di tornare al loro palazzo. Lucrezia si stringeva nelle spalle, cercando di proteggersi dal gelo, e, nel farlo, restava il più vicino possibile al marito che, da buon capofamiglia, stava sbrigando i convenevoli anche per lei.

"Tutto bene?" le chiese, quando finalmente poterono ritagliarsi un momento di pace, lasciando che fossero un po' gli altri a scambiarsi auguri e saluti.

"Preferirei andare presto a casa." disse lei, senza dare altre spiegazioni.

L'uomo si accigliò, un po' perplesso, ma alla fine disse, senza fare domande: "Va bene."

Data la voce agli altri membri della famiglia e della servitù che li avevano seguiti alla funzione, i Salviati attraversarono le poche strette vie che li dividevano dalla chiesa a buona velocità, senza parlare.

A un certo punto, in una delle strade che portavano verso Santa Maria del Fiore, avevano intravisto alcuni uomini correre, dandosi la voce l'un l'altro, ma avevano immediatamente pensato che fosse qualche guaio che con loro non c'entrava nulla, e quindi avevano fatto finta di non vederli e non sentirli.

Una volta a palazzo, prima di andare a cena, Lucrezia frenò un momento il marito nell'ingresso, tenendolo per una mano: "Devo dirti una cosa..." gli bisbigliò, e poi gli fece segno di seguirlo.

Arrivati a uno dei salottini, lontano dagli sguardi e dalle orecchie di familiari e domestici, Jacopo guardò la moglie: "Allora? Di cosa devi parlarmi? È una cosa bella o brutta?"

La donna si morse il labbro. La luce fiochissima della stanza era dovuta solo ed esclusivamente alle lingue di bianco che arrivavano dalla finestra. Probabilmente, se non fosse stata una notte di neve, in quella camera senza nemmeno il camino acceso, i due Salviati non sarebbero neppure riusciti a intravedersi l'un l'altra.

"Aspettiamo un altro figlio." disse piano Lucrezia, dopo aver aspettato qualche secondo che il proprio cuore tornasse a battere normalmente: "Il freddo mi stava dando un po' fastidio, per questo ti ho chiesto di tornare a casa in fretta... Sai che quando sono incinta mi danno noia il troppo freddo e il troppo caldo..."

Mentre la moglie parlava, l'uomo restava fermo sui due piedi, un sorriso un po' malinconico sulle labbra, mentre i suoi occhi pacati la indagavano senza tregua: "Sai che l'avevo immaginato?"

La Medici smise subito il suo monologo e ricambiò lo sguardo del Salviati con la stessa strana malinconia addosso: "Davvero?"

"Ultimamente hai voluto passare la notte con me quasi sempre. Ho fatto due conti e... Insomma, Lucrezia, dopo cinque figli comincio a capire, quando mia moglie è in stato interessante." fece lui, il sorriso che si apriva un po' di più, quasi in imbarazzo, come se quel genere di argomenti lo mettesse ancora in difficoltà, anche dopo tanti anni di matrimonio e tanti figli insieme.

"Perché non mi hai detto che lo sospettavi, allora?" indagò la donna, lasciandosi prendere la mano da quella gentile e calda di lui.

Jacopo alzò una spalla: "Perché volevo me lo dicessi tu." e fece la medesima espressione che faceva ogni qualvolta cercava di scusarsi con lei per non aver preso per tempo una posizione o un'iniziativa.

Se nei primi tempi del loro matrimonio quel genere di remissività avrebbe un po' irritato la Medici, adesso, a distanza di anni, la rassicurava e basta. Era come una garanzia del fatto che l'uomo che aveva sposato – pieno di difetti, come tutti, ma fondamentalmente buono – non fosse cambiato.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora