C507:Con il fuoco si prova l'oro, con l'oro la donna, con la donna l'uomo.

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Bernardino era tornato dalla sua punizione in chiesa poco dopo l'inizio del banchetto, mentre di Ottaviano ancora non c'era traccia. Giovannino era stato portato nella sua camera da una della balie, più per tranquillizzarlo, che non perché la madre lo volesse allontanare. La confusione, come sempre, gli dava un gran fastidio e, anche adesso che aveva quasi un anno, la sua reazione infastidita era palese come quando aveva ancora pochi mesi.

Sforzino si era gettato, come sempre, sul cibo, ignorando sostanzialmente, tutto ciò che lo circondava, oltre alle portate di verdura, carne e pasta. Solo Cesare, Bianca e Galeazzo tenevano testa ai discorsi degli invitati di spicco della madre, intrufolandosi nei loro dibattiti e, di quanto in quando, iniziandone addirittura uno loro stessi.

"Non è per nulla brutta, Pisa..." stava dicendo Ottaviano Manfredi, spezzandosi un pezzo di pane per raccogliere un po' dell'intingolo che accompagnava lo stufato di cervo: "Ci ho vissuto per un po' e non mi è dispiaciuta."

Cesare si era messo a parlare del suo nuovo incarico e della sua futura carriera come Arcivescovo di Pisa e si era chiesto a voce alta se qualcuno sapesse dirgli qualcosa di quella città.

Sua madre, seduta nel posto centrale, con Galeazzo alla sua destra e Bianca alla sua sinistra – dove, secondo i primi calcoli, avrebbe dovuto stare Ottaviano che, invece, non era ancora arrivato – non aveva dato cenno di voler rispondere, e così avevano fatto tutti gli altri, compreso il Governatore Ridolfi, che pure sembrava infervorarsi ogni volta che si nominava una città toscana.

L'unico che aveva espresso la sua opinione era stato appunto il faentino, che poi, però, aveva lasciato cadere l'argomento con un semplice: "Ma io mi muovevo sopratutto di notte, tra locali di malaffare e risse nelle osterie. Immagino che un Arcivescovo frequenti altri ambienti..."

Per un po', mentre anche tutti gli altri ospiti si godevano la cena, nessuno sollevò altri argomenti, alla tavola d'onore, e fu solo un casuale commento di Luffo Numai a riaccendere il discorso.

"Questa carne è ottima – disse, rivolgendosi sapientemente prima alla Contessa e poi alla figlia Bianca, ben sapendo che la prima aveva cacciato la bestia e la seconda l'aveva cucinata – ma alla mia veneranda età forse è meglio che mi dia una regolata, o non digerirò nulla..."

"Oh, avanti!" esclamò Simone, versandosi dell'altro vino: "Non dite così! Siete ancora giovane..."

"Ho cinquantotto anni. Sarei giovane se ne avessi almeno quaranta di meno!" ribatté il Consigliere, con una risata che venne subito accolta dalla moglie e poi dagli altri commensali.

"Anche io a volte mi sento vecchio..." fece Ridolfi, volendo suonare scherzoso, ma dando alla tavolata invece l'impressione di essere più che serio.

Per levare l'attenzione dal fiorentino, che pareva improvvisamente a disagio, a parlare fu Francesco Fortunati che, guardando incuriosito Ottaviano Manfredi, gli chiese: "E voi quanti anni avete? Ho sentito molte cose sul vostro conto e sulle vostre imprese. Però mi sembrate molto giovane, per aver passato già così tante traversie..."

"Ne ha ventisette. Lo so che vi sembra troppo giovane per me." rispose prontamente la Sforza, senza ragionare.

Ci fu un brevissimo istante in cui molti dei commensali seduto al tavolo d'onore rimasero in totale silenzio, smettendo anche di mangiare, fissando la Tigre in modo strano.

Poi, però, Manfredi ebbe la prontezza di prendere la parola e stemperare con una risata la tensione di quell'attimo: "Quanto corriamo... Ne ho ancora ventisei. Ventisette li compirò il sei agosto."

Mentre la conversazione si spostava sulle date di nascita e il confronto delle influenze astrali sul carattere e sulla fortuna, Caterina bevve un po' di vino e abbassò lo sguardo sulla carne di cervo, una striatura rossa che saliva dal collo.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora