La Contessa e Manfredi tornarono alla festa accaldati e scapigliati, ma nessuno fece loro troppo caso, dato che le danze si erano fatte frenetiche e senza requie.
Gli unici che parevano essersi accorti di loro erano Mongardini e Rossetti, che, appoggiati al muro con i calici di vino ancora stretti nel pugno, li guardarono sfilare davanti a loro e, poi, scambiandosi un'occhiata d'intesa, scoppiarono a ridere.
"Quella donna..." soffiò Mongardini, tra l'ammirato e lo sconcertato: "Non balla con nessuno, ma direi che altre cose le fa più che volentieri..."
"Eccovi, finalmente..." fece la Sforza, vedendo Cesare Feo vicino al tavolo d'onore: "Temevo che non faceste a tempo a godervi nemmeno un ballo... Lavorate troppo. Almeno a Pasqua, dovevate lasciare i vostri libri contabili chiusi."
Il castellano la guardò pensoso per un po', gli occhi scuri che indugiavano anche su Manfredi, alle sue spalle: "Iniziavo a credere che vi foste già ritirata, ma per fortuna siete ancora qui."
Il tono con cui l'uomo le aveva parlato la mise un po' in allarme, perciò la Tigre decise di dargli subito ascolto, benché la sua mente fosse ancora in parte altrove.
Manfredi la reclamava ancora per sé e le aveva appena sussurrato all'orecchio di sbrigarsi, che aveva voglia di andare in camera, ma la Contessa gli disse di mettersi buono ad aspettare, che aveva una cosa importante da fare.
Il modo in cui i due si avvicinavano, gli sguardi d'intesa che si scambiavano e il vago sorriso con cui si erano infine intesi, avevano tolto ogni dubbio al castellano che ormai aveva capito benissimo che tipo di impegno avesse tenuto impegnata la sua signora fino a pochi minuti prima.
"Di cosa volete parlarmi?" chiese Caterina, prendendo da parte Cesare e abbassando un po' la voce.
Nella sala la confusione imperava. L'arrivo dei soldati e dei servi aveva, come sempre, surriscaldato l'ambiente e per riuscire a parlarsi senza gridare la Sforza e il Feo dovevano stare molto vicini.
"Possiamo discuterne anche domani..." fece l'uomo, rendendosi conto del vago rossore del viso di lei e del luccicare particolare dei suoi occhi.
Non la poteva dire ubriaca, ma nemmeno del tutto sobria e, di certo, da come continuava a lanciare occhiate al faentino, non era più di tanto concentrata su quel che doveva dirle lui.
"No, adesso." fece la donna, restando in attesa.
Cesare, allora, si massaggiò la guancia, cercando le parole giuste per esprimersi e poi spiegò: "Il punto è che stavo controllando i calcoli fatti circa le scorte alimentari e temo che per il prossimo inverno il grano non ci basterà. Abbiamo dirottato troppi contadini verso le armi e, sì, siamo gli unici ad avere un esercito stabile ed efficiente, ma non abbiamo più nessuno che lavora i campi, se non qualche vecchio, qualche ragazzino e le donne. E il clima instabile che ci attendiamo non aiuterà certo questa povera gente a far crescere più grano."
"Ne compreremo di più." disse subito la donna.
"Da chi, mia signora?" allargò un po' le braccia lui, gli occhi stanchi che cercavano una risposta nel viso della Tigre: "La Romagna, con tutti i saccheggi e le scorribande che ci sono state è una terra morta. Bologna, con la questione dei carriaggi di Annibale Bentivoglio ci ha già fatto sapere che non intende impegnarsi con noi finché non avrà avuto un colpevole da punire, e Milano, con tutto il rispetto, non mi pare incline a farci prezzi di favore."
"Resta Firenze." sussurrò Caterina, scartando a priori sia Roma sia Napoli.
"Resta Firenze." convenne il castellano: "Ma dopo che avete cacciato anche l'ultimo ambasciatore, credete che ci faranno un buon prezzo?"
![](https://img.wattpad.com/cover/157566899-288-k377999.jpg)
STAI LEGGENDO
Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)
Historical Fiction(Troverete le prime tre parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Duca di Milano e di una delle sue amanti, Lucrezia Landriani. Dopo un'infanzia abbastanza serena trascorsa quasi per intero tra le mura del...