Capitolo 647: Popolo! Popolo! Popolo!

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L'Oliva aveva appena letto il messaggio che il verrettone appena scagliato in sua direzione portava con sé. Era solo una conferma a quello che già aspettavano, ma l'uomo sentì comunque una forte stretta allo stomaco.

Malgrado la rocca potesse ancora mettersi in comunicazione con la città grazie al piccolo ponte di servizio che la Tigre aveva deciso di non distruggere – almeno per il momento – il notaio aveva fatto sapere ai suoi di voler essere informato delle cose importanti solo a quel modo, in modo da non instillare troppo l'idea, né nei cittadini, né in quelli che abitavano a Ravaldino, che fosse facile entrare e uscire dalla fortificazione.

C'era ancora buio e tirava un venticello freddo che puzzava di umidità. Quasi per certo, si disse l'Oliva, mentre lasciava il camminamento e arrancava verso la stanza della Leonessa, entro sera sarebbero stato di nuovo sommersi dalla pioggia.

Arrivato agli alloggi della Contessa, l'uomo bussò un paio di volte e attese pazientemente. I soldati che gli passavano alle spalle non lo calcolavano nemmeno, ma tutta quella gente, al milanese, dava un senso di soffocamento a cui non riusciva ad abituarsi. E la cosa peggiore era che, con l'andare delle ore, la confusione sarebbe solo aumentata, toccando il culmine nelle ore centrali della giornata.

Sentì del movimento, oltre la porta, e poi si vide comparire davanti non la Sforza, ma frate Monsignani che, riconoscendolo, si schiarì la voce e si guardò un momento alle spalle, mormorando qualcosa.

"Fallo entrare." rispose la voce ferma di Caterina.

L'Oliva ringraziò, facendo un cenno con il capo e, oltrepassando Vangelista, già con addosso i suoi abiti da frate, ma ancora intento a cercare la corda da legarsi in vita, si avvicinò alla Tigre, che era ancora seduta sul letto.

"Cos'è successo di nuovo?" chiese la donna, passandosi una mano sul collo, visibilmente stanca.

Il suo uomo di fiducia, ben lungi dal voler dare l'impressione di essere intento a giudicarla, evitò di guardare Monsignani che si tuffava a lato del letto per recuperarsi la cintola, finita in terra, e rispose, a bassa voce: "I francesi stanno montando il campo appena fuori dalla città. Pare che vogliano cercare un contatto con qualcuno del governo, per poter capire se c'è spazio per un accordo."

"Noi non diremo nulla." ribatté aspra la Contessa, alzandosi e afferrando con gesti stizziti i suoi abiti da uomo, lasciati alla rinfusa sull'inginocchiatoio.

Mentre Vangelista si scusava con entrambi e lasciava la stanza, per non dar loro fastidio, l'Oliva cercò ancora una volta di fingersi disinteressato, mentre la donna si lasciava scivolare di dosse la vestaglia da camera e cominciava a rivestirsi.

Il notaio aveva ragione a crederla nervosa. La Sforza aveva passato la notte completamente insonne, e, ora che iniziavano a vedersi i primi stentati bagliori dell'alba, si trovava a pensare che avrebbe fatto meglio a riposare. Una volta andato via Pirovano, la donna aveva cercato di assopirsi, ma tutto quello che era riuscita a fare era stato rigirarsi nel letto per quasi un'ora, finendo per andare a cercare Monsignani.

Passata la frenesia del momento, si era subito vergognata della debolezza della sua carne e si era pentita di aver passato quella strana notte di veglia passando da un amante all'altro senza farsi problemi. Ormai, però, era giorno, ed era inutile rammaricarsi per qualcosa che ormai non si poteva aggiustare.

"Avete un modo sicuro di comunicare con i vostri informatori che stanno là fuori?" domandò la Leonessa, tenendo le spalle al milanese.

Egli annuì e precisò: "Ma messaggi brevi, nulla che sia più lungo di una riga o due."

Caterina ci ragionò sopra un secondo e, con le brache ancora in parte slacciate, andò subito alla scrivania e si mise a scrivere in fretta, dicendo all'Oliva: "Dovranno mettere in giro questa voce. Mi auguro che lo facciano in fretta. Numai, quando se ne accorgerà, saprà cosa fare."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora