Machiavelli stava ascoltando solo con un'orecchia quello che si stava dibattendo alla Signoria, quella mattina. C'erano troppe cose che si affollavano nella sua mente e lui, che si era sempre vantato perfino con se stesso di avere una visione d'insieme eccellente, stava rischiando di perdere i punti di repere necessari ad avere un quadro almeno sufficiente della situazione generale.
Prima di tutto, non riusciva in nessun modo a capire l'atteggiamento di Paolo Vitelli. Era come se il comandante non solo se ne stesse infischiando delle maldicenze a suo carico, ma pareva quasi che fosse ben felice di alimentarle e renderle giorno dopo giorno sempre più credibili.
Quando aveva perso Torre di Foce e i pezzi di artiglieria affondati, per esempio, non solo non si era dato il minimo pensiero, ma addirittura aveva lasciato che i pisani trafugassero impunemente un paio di armi molto costose rimaste verso riva.
Proprio per l'indolenza dimostrata dal Vitelli – e non spiegabile, almeno secondo Firenze, con la sua recente malaria – si era presto arrivati a parlare addirittura di un mandato d'arresto nei suoi confronti. L'accusa oscillava tra il tradimento e il danno economico alla Repubblica, ma di fatto non era ancora stato deciso nulla di ufficiale.
A Niccolò sembrava eccessivo accusare il comandante generale di tradimento, ma si rendeva anche conto che una campagna già vinta si stava trasformando in una ritirata ignominiosa e costosa solo per le intemperanze di un uomo che era – o almeno sembrava – ormai alla fine della sua carriera.
Mentre la discussione davanti ai suoi occhi si accendeva ancora di più, il Segretario di Stato scivolò di nuovo nei suoi pensieri, rimuginando su altre cose che lo stavano confondendo molto, in quel periodo.
Tanto per citarne una, c'era la fuga del Moro. Non aveva mai avuto molta stima di Ludovico Sforza, trovandolo borioso e prepotente come tutti quelli della sua genia, ma anche ingenuo e facilone, un tratto che non poteva aver preso dai genitori. Vederlo abbandonare il Ducato con tanta facilità, però, lo aveva colto di sorpresa.
Per natura, gli Sforza erano attaccati alla terra, al popolo e al potere, invece lui, vedendosi in pericolo, non aveva esitato un attimo a lasciare la città in balia di se stessa, scappando come un coniglio, invece di provare a combattere come il guerriero che avrebbe dovuto essere.
Se quel giorno la Signoria si era dovuta riunire tanto presto e con tanta fretta buona parte della colpa era proprio del Moro. Se non avesse lasciato entrare i francesi così facilmente a Milano, a Firenze non ci sarebbe stato bisogno di scegliere degli ambasciatori da mandare a re Luigi per trattare le condizioni di un'alleanza, o, quanto meno, di una non belligeranza.
Machiavelli si grattò pensieroso il mento, mentre Lorenzo Medici prendeva di nuovo la parola, sottolineando con voce piena quanto sarebbe convenuto a tutti loro favorire la campagna militare dei francesi, arrivando a lasciarli indisturbati – se non addirittura a fornire loro soccorso – se avessero intrapreso la conquista della Romagna.
Il Segretario immaginava più che bene il vero motivo che stava spingendo il Popolano a influenzare in modo tanto palese i notabili della città e, anche se nell'impeto dei sentimenti sarebbe stato pronto a dargli ragione, se si metteva a valutare più freddamente la situazione, trovava il suo comportamento quanto meno infantile.
Era chiaro che Lorenzo volesse solo il male della cognata, e che fosse anche disposto a lasciare i francesi liberi di scendere indisturbati lungo buona parte dello stivale solo ed esclusivamente per il piacere di vederla distrutta. E quello non era un motivo corretto.
A Firenze non serviva a nulla avere i francesi accanto e tutti i vantaggi che il Medici andava elencando senza tregua erano pressoché tutti inventati o esagerati. Niccolò sapeva, come tanti dei presenti, che lasciare libero Luigi XII di percorrere la penisola italiana in modo indisturbato si sarebbe potuto rivelare un errore madornale e irreparabile.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)
Ficción histórica(Troverete le prime tre parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Duca di Milano e di una delle sue amanti, Lucrezia Landriani. Dopo un'infanzia abbastanza serena trascorsa quasi per intero tra le mura del...