Capitolo 517: ...sotto la destra dell'invitto Achille.

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"Aspettate. Aiutatemi, vi prego..." sussurrò Caterina, fermando la serva che l'aveva accompagnata in camera una volta pronta l'acqua per il bagno.

La tinozza era stata messa più o meno nel centro della stanza, davanti al letto. La Sforza avrebbe potuto benissimo cavarsela da sola, ma si sentiva debole e incerta, così preferì farsi dare una mano.

Mentre la domestica l'aiutava a sfilarsi l'abito, senza fare commenti in merito allo stato in cui si trovava, la Tigre sentì tutti i muscoli dolenti, le articolazioni provate e si sentì sporca.

Lo sforzo fisico compiuto l'aveva lasciata più stremata di quanto credesse e il sangue, ormai secco, sul viso, sulle mani, tra i capelli e perfino sul resto del corpo, laddove il vestito non era stato capace di proteggerla, le dava un fastidio profondissimo. Era come aver dipinta addosso la colpa.

Una volta nuda, si fece sorreggere dalla serva, nell'entrare nella tinozza. Le chiese di versarle addosso qualche brocchetta di acqua calda e si fece passare gli oli e il sapone. La mano della spada le doleva. Nel colpire Corbizzi, specialmente quando aveva impattato con qualche osso grande, si era fatta male, senza accorgersene. Così, dopo il grande sforzo di essersi tolta e rimessa il nodo nuziale per pulirlo dal sangue, chiese alla domestica di aiutarla anche a lavarsi i capelli.

Questa fece tutto quanto senza batter ciglio. Non era più giovanissima e la Leonessa ricordava solo vagamente di averla assunta, qualche anno prima. Se non si sbagliava, era una di quelle che aveva strappato a una delle bettole più malfamate della città. Forse era anche grazie al suo passato burrascoso, pensò, che non pareva troppo scandalizzata, nel vederla conciata in quel modo.

"Come vi chiamate?" le chiese, quando ci fu un momento di calma.

La donna era in piedi accanto alla tinozza, pronta a eseguire nuovi compiti, mentre Caterina era immersa fino al mento nell'acqua ancora tiepida, beandosi di quella effimera sensazione di pace.

Il calore e l'essenza degli oli profumati le avevano sciolto un po' i muscoli e la tranquillità con cui quella serva si stava prendendo cura di lei le aveva ricordato un po' la sua infanzia, quando le bambinaie del palazzo di Porta Giovia le facevano fare il bagno, trattandola con dolcezza e delicatezza, come fosse stata qualcosa di estremamente fragile e prezioso.

"Argentina, mia signora." rispose la domestica, accennando a un sorriso e poi domandando se volesse stare in acqua ancora un po' o preferisse uscire dalla tinozza.

"Argentina..." ripeté la Sforza, uscendo, intanto e accettando il telo che le veniva offerto: "Sei molto gentile, con me."

"Sono alle vostre dipendenze, mia signora." fece notare lei, aiutandola a stringere a dovere il telo e porgendogliene subito un altro per i capelli.

"Lo so. Lo so..." fece l'altra, che aveva comunque sentito una certa vicinanza, con quella donna, qualcosa che andava oltre il servile ossequio a cui era abituata.

Lasciò che Argentina le sistemasse i capelli e poi che le prendesse un abito dalla cassapanca e l'aiutasse a vestirsi. Una volta si nuovo all'uso del mondo, però, la Contessa si sentì ancora spersa come la era stata un paio d'ore prima.

"Grazie, chiamate pure qualcuno per portare via la tinozza. Se avrò bisogno altro, vi farò chiamare." disse alla serva e poi, accogliendo con piacere un ultimo sorriso di quest'ultima, si chiuse a chiave in camera e, preso un libro a caso, si stese a letto.

Le ore passarono e poco per volta scese la sera. Per tutto il tempo Caterina non aveva fatto altro che perdere il filo di quel che leggeva, intercalando una frase di Ovidio a un'immagine di quel che aveva fatto nelle segrete, un verso di Petrarca alle paure per il futuro.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora